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Sarno: merce made in China sequestrata. Ma i lavoratori chi li tutela?

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span style="color: #000000">Denunciato a piede libero per detenzione ai fini di vendita di prodotti contraffatti, ricettazione e tentata frode in commercio dovrà sedersi sul banco degli imputati e difendersi dalle accuse mosse a suo carico Z.J., 48enne, gestore di un negozio di articoli casalinghi e vari al Viale Margherita. Era giugno del 2016  quando le Fiamme Gialle della Compagnia di Scafati ispezionarono l’attività individuando e sequestrando circa 5000 prodotti contrafatti. Esercizi commerciali gestiti da cinesi aprono in sequenza; alimentati da un’economia basata sulla filosofia del ” compro tanto, spendo poco” a discapito del made in italy diventato ormai quasi un ricordo. Bazar orientali che offrono all’acquirente merce di vario genere quasi sempre non in regola, di bassa qualità, con il marchio d’impresa “CE” è  indicativo di “China Export” e non  “Conformità Europea”. Un aspetto viene sottovalutato quando parliamo di attività cinesi: i lavoratori alle dipendenze degli occhi a mandorla. Chi sono? italiani diventati cinesi dei cinesi. Senza un regolare contratto di lavoro, costretti a orari massacranti per una retribuzione misera. Se guardiamo la normativa del lavoro nel paese del Gran Dragone, negli ultimi anni si è cercato di tutelare i diritti e gli interessi dei lavoratori, superando il tabù dello sciopero, soppiantando il vecchio regime basato sulla centralità del sistema “iron rice-bowl”- la ciotola  di riso in ferro -in riferimento a un’occupazione con garanzia di sicurezza lavorativa , oltre a reddito e benefici costanti. Diritti che nel nostro paese, in particolare al sud, non vengono dati; dove tra i doveri di una commessa, dopo tante ore di lavoro, c’è anche quello di pulire il bagno alle nove di sera. Quando si fa notare al titolare di un noto store della zona che potrebbe farlo anche l’indomani, lui con la testa fa cenno come a dire :” lo devi fare adesso”…loro vanno e puliscono. La situazione non cambia se parliamo delle commesse/i che lavorano nei negozi degli italiani, qualcuno dirà…è vero. Il punto è proprio questo. In un territorio con un tessuto sociale ed economico messo in ginocchio dalla crisi, con diritti negati o dati a metà, perchè permettere

anche ai nuovi ricchi del levante di fare la stessa cosa? I controlli dovrebbero essere più serrati in materia di merce non in regola, venduta in magazzini autorizzati all’apertura dagli enti competenti  o atti a dare dignità a chi ci lavora? 


Articolo pubblicato il giorno 20 Marzo 2018 - 08:31
Russo Antonio

Collaboratore di lunga data di Cronache della Campania Da sempre attento osservatore della società e degli eventi. Segue la cronaca nera. Ha collaborato con diverse redazioni.

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