In base al ddl Catalfo bisogna avere più di 18 anni, essere disoccupati o inattivi, percepire un reddito o una pensione sotto la soglia dei 780 euro. Occorre poi rendersi disponibili a lavorare e iscriversi ai Centri per l’Impiego pubblici (esonerati le madri o i padri con figli minori di 3 anni, i disabili e i pensionati) e iniziare un percorso di ricerca attiva di un’occupazione, frequentando corsi di formazione e facendo colloqui con gli operatori dei centri. Nel frattempo si dovrà contribuire a progetti sociali del suo Comune per 8 ore alla settimana. Fondamentale, infine, la disponibilità effettiva ad accettare un posto: perderà il reddito chi “rifiuta, nell’arco di tempo riferito al periodo di disoccupazione, più di tre proposte di impiego ritenute congrue” e anche chi “sostiene più di tre colloqui di selezione con palese volontà di ottenere esito negativo, accertata dal responsabile del centro per l’impiego”. Verrà considerata congrua una proposta “attinente alle propensioni, agli interessi e alle competenze acquisite dal beneficiario in ambito formale, non formale e informale, certificate nel corso del colloquio di orientamento” e remunerata con una “retribuzione oraria maggiore o uguale all’80 per cento di quella riferita alle mansioni di provenienza se la retribuzione mensile di provenienza non supera l’importo di 3.000 euro lordi”. Perderà il reddito anche chi si licenzia senza giusta causa per due volte in un anno. Secondo l’Istat la misura costa 14,8 miliardi. Gli economisti Baldini e Daveri su lavoce.info hanno contestato questa stima calcolando che il costo effettivo sarebbe di 28,7 miliardi. Questo perché, è la loro argomentazione, l’Istat “fa finta” che le famiglie italiane proprietarie della casa in cui vivono (la maggioranza) ricevano ogni mese l’equivalente dell’affitto che otterrebbero se la mettessero sul mercato. In questo modo il loro reddito risulta più alto di quanto è in realtà e cala il sussidio che riceverebbero dallo Stato in caso di varo del reddito di cittadinanza.

L’M5s nel suo programma ha ipotizzato di poter trovare coperture per un totale di oltre 20 miliardi, ma molte voci appaiono sovrastimate. Appare difficile ridurre ogni anno di ulteriori 2,5 miliardi le spese per acquisti della pubblica amministrazione grazie alla centrale unica Consip e ottenerne altri 5 complessivi da una serie di misure come il divieto di cumulo pensionistico tra redditi di lavoro autonomo e dipendente(che scontenterebbe chiunque abbia versato i contributi), tagli a organi costituzionali e abolizione dei dividendi versati dalla Banca d’Italia (sono solo 340 milioni l’anno). Ridurre di 5 miliardi le detrazioni sui redditi più alti equivarrebbe poi, di fatto, ad aumentare la pressione fiscale. Il resto dovrebbe arrivare dalla riduzione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi per banche ed assicurazioni (2 miliardi), dall’aumento delle royalty pagate dalle multinazionali degli idrocarburi (1,5 miliardi) e da maggiori tasse sul gioco d’azzardo (1 miliardo).

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La teoria di Tridico: si può pagarlo in deficit – Il Movimento sostiene comunque che il reddito di cittadinanza “tende a ripagarsi da solo sia in ragione degli spazi che apre ai consumi sia perché ci sosterrebbe nel dibattito con la Ue circa una revisione del nostro Pil potenziale, dell’output gap e dunque in merito ai più ampi margini finanziari utilizzabili persino a regole invariate”. La teoria, sviluppata dall’economista Pasquale Tridico – indicato da Di Maio come ministro del Lavoro di un eventuale governo pentastellato – è che l’obbligo di iscrizione ai centri per l’impiego farebbe salire il tasso di partecipazione al lavoro e questo aumenterebbe le stime del pil potenziale dell’Italia. Che è quello che l’Italia potrebbe raggiungere al netto di crisi economica e circostanze eccezionali. E in base al quale la Commissione Ue calcola il deficit strutturale dei Paesi membri e di conseguenza gli “aggiustamenti” richiesti. La tesi di Tridico è che con più persone attive il pil potenziale sarebbe più ampio e l’Italia potrebbe fare ogni anno più deficit, coprendo in quel modo i costi del reddito di cittadinanza.