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Psicologia penitenziaria

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Reclusione e psicologia

La psicologia penitenziaria è una branca della Psicologia Giuridica, che si interessa della vita dei detenuti e dell’attività rieducativa della pena, all’interno delle carceri.

Attraverso un mirato percorso psicologico si cerca di rieducare il soggetto deviante, reinserendolo all’interno della società.
La presenza, nelle carceri, di figure psicologiche specializzate, in grado di individuare le cause del comportamento delinquenziale, è pertanto necessaria e doverosa.

Lo psicologo nel carcere dal punto di vista legislativo

Con la riforma dell’Ordinamento Penitenziario avvenuta nel 1975 (legge n° 354) è stata riconosciuta la figura dello psicologo all’interno del sistema penitenziario, al fine di osservare il comportamento dei tenuti ed intervenire con trattamenti psicoterapeutici mirati, laddove fosse stato necessario.
L’art. 80 della legge n°354 prevede la possibilità per l’amministrazione penitenziaria di avvalersi di professionisti esperti in psicologia, in pedagogia, in psichiatria ed in criminologia clinica.
Già l’O.N.U. il 30 agosto del 1955 aveva stabilito, attraverso un insieme di regole riguardanti il trattamento dei detenuti, la necessità d’integrare il personale penitenziario, con psichiatri, psicologi, assistenti sociali, educatori, istruttori tecnici, dediti al trattamento e alla rieduca-zione dei detenuti.

La circolare dell’Amministrazione penitenziaria n.2598/5051 del 13 aprile 1979 precisa, inoltre, che lo psicologo ha il compito di accertare il funzionamento psichico del soggetto, sotto il profilo intellettuale, familiare ed attitudinale.
Oltre al colloquio d’ingresso e alla prima visita medica, è previsto un colloquio preventivo diretto dallo psicologo, al fine di comprendere le procedure da mettere in atto per tutelare il detenuto, oltre alla sicurezza degli altri condannati e di tutto il personale dell’istituto.

Lo psicologo, quindi, dopo aver valutato attentamente lo stato cognitivo ed affettivo del detenuto, suggerisce la disposizione del condannato all’interno del carcere, fornendo indicazioni sul tipo di intervento da attuare, come ad esempio particolari misure di isolamento. Il settore in cui trova maggiore spazio la figura dello psicologo è la criminologia minorile, dove è molto importante l’ideologia correzionale. In questo contesto l’indirizzo punitivo è del tutto sostituito da quello rieducativo.

Il ruolo dello psicologo nel carcere

Lo psicologo valuta il profilo personale del detenuto, focalizzandosi sulla causa del suo disadattamento sociale.
In secondo luogo interviene sul comportamento, tramite un apposito piano terapeutico e rieducativo, che permette al condannato di rielaborare le proprie ansie e le proprie problematiche psicologiche.
Lo psicologo penitenziario, di solito, interviene prima della condanna; all’ingresso in carcere rilascia una scheda riguardante lo stato mentale del soggetto, in base alla quale viene elaborata la misura carceraria.
Un altro compito, molto importante, svolto dallo psicologo penitenziario, è quello di fornire un sostegno psicologico ai carcerati. Proviamo ad immaginare cosa succede nel mondo delle carceri: celle super affollate, persone di etnie completamente diverse rinchiuse in pochi metri quadri, problemi di comunicazione, restrizione della libertà personale, seri disturbi psicologici, problemi di igiene, etc.
In un contesto del genere, il lavoro dello psicologo risulta a dir poco indispensabile, ma soprattutto critico e delicato. Stiamo sempre parlando di persone che hanno commesso un reato: c’è chi ha ucciso, chi ha violentato, chi ha rubato, ecc. quindi non è facile lavorare a stretto contatto con queste persone.
Lo psicologo ha delle grandi responsabilità sul detenuto; partecipa anche al Consiglio di Disciplina dove esprime un proprio parere, che può sottoporre il detenuto ad una successiva misura restrittiva.

Oltre alle attività sopra descritte vanno ricordati gli interventi psicologici rivolti a casi particolari come ad esempio detenuti con malattia mentale, pedofili, serial killer, pentiti, collaboratori di giustizia, ecc.

Quindi possiamo dire che lo psicologo in carcere lavora su più fronti:

  • Sulla tutela del benessere psicofisico del condannato;
  • Sulla valutazione della sicurezza sociale del condannato e di tutto il personale penitenziario;
  • Sul giudizio e sulla pena del condannato.

Il contributo degli psicologi penitenziari è quindi quello di introdurre nell’istituzione penitenziaria una visione nuova dell’uomo, fatto di dinamiche psicologiche e fisiche.

Di solito il colloquio con lo psicologo viene richiesto direttamente dal detenuto, in rari casi è richiesto su segnalazione della Direzione dell’Istituto. Questo si verifica qualora il detenuto manifesti sintomi di disadattamento (sciopero della fame, azioni autolesionistiche, indisciplina ed insubordinazione), che il sistema penitenziario non riesce a contenere, attraverso una semplice terapia farmacologica o un trattamento intramurario (corsi scolastici, formazione professionale, ecc.). In questi casi specifici, viene a mancare il rapporto di corrispondenza tra l’utente e lo specialista. Il detenuto, il più delle volte, si rifiuta di collaborare, perché vede il trattamento psicologico come un’imposizione.

Lo psicologo, quindi, si muove su un terreno delicato, dove risulta molto difficile costruire un rapporto di fiducia, presupposto fondamentale per una buona riuscita della terapia.
Lo specialista si trova tra il “curare” e il “punire“, tra le esigenze “sanitarie” e quelle “giudiziarie”.

Per questo è fondamentale il colloquio, la capacità di ascolto e la relazione con il detenuto.
A tal proposito, risulta necessario informare sempre, in modo chiaro e trasparente, il detenuto sul ruolo svolto dallo specialista, sui propri compiti, sui propri limiti e sugli obiettivi che si vogliono raggiungere.
Solo in questo modo è possibile instaurare un rapporto onesto, fondato sulla fiducia e sulla reciproca collaborazione.


Articolo pubblicato il giorno 31 Marzo 2018 - 12:18


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