Il boss muore in carcere ma prima lascia disposizione alla famiglia di donare parte dei suoi organi. Una sorta di riscatto morale per un uomo che ha gestito per anni gli affari illeciti lungo il litorale salernitano. Stiamo palando di Pellegrino Cataldo, boss di Pontecagnano e dintorni, morto a 68 anni nell’ospedale Peligno di Sulmona in provincia de L’Aquila. Stava scontando un ergastolo per un omicidio commesso nel 1998. Le sue condizioni di salute si erano aggravate nelle ultime settimane tanto da essere trasportate in rianimazione. Ma prima di morire ha spiegato alla moglie Maria Loreto D’Ignazio e al figlio Alessandro (entrambi indagati e i cui nomi insieme a quello dello stesso Pellegrino Cataldo compaiano nella maxi inchiesta Omnia con 93 tra boss e gregari della Piana del Sele finiti sotto inchiesta lo scorso anno) di donare i suoi organi. Proprio ieri si è celebrata l’udienza preliminare di questo processo. I medici hanno potuto recuperare solo il fegato subito impiantato su un paziente in attesa mentre le cornee sono andate nella Banca degli occhi dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila. Il figlio Alessandro tra l’altro rimase ferito in un agguato nel 2011 consumatosi nei pressi dello stadio di Pontecagnano. Nonostante fosse in carcere da anni il boss continuava a gestire le attività illecite imponendo il pizzo sui trasporti con la sua ditta attraverso moglie e figlio. Fu intercettato in carcere durante un colloquio con i congiunti nel quale mostrava le sue preoccupazioni sull’avanzata in tale settore dei fratelli Luigi e Francesco Mogavero detti i Paccitielli (entrambi arrestati nel blitz Omnia). Diceva Pellegrino Cataldo alla moglie: “Questi mo che viene ottobre vanno all’attacco, vogliono pure la Linea Verde e i viaggi di ritorno”.
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