Si sarebbero resi responsabili di almeno cinque rapine ed oltre trenta furti in abitazioni tra la Campania ed il Lazio le 18 persone, 16 albanesi e due italiani, arrestati dai carabinieri su ordine del Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per i reati di furto e rapina aggravati, estorsione e ricettazione. Nove le ordinanze di carcerazione, una ai domiciliari, mentre sono stati eseguiti anche cinque obblighi di dimora e un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Due indagati sono in Albania. Alcuni degli albanesi, e’ emerso, sono gia’ stati arrestati in passato ed espulsi, ma hanno fatto rientro illecitamente sul territorio italiano per commettere altri reati. L’indagine della Procura di Santa Maria Capua Vetere e’ partita nel 2015 in seguito ad una violento colpo avvenuto in un’abitazione di Liberi, comune dell’Alto-Casertano, dove uno dei malviventi ingaggio’ una colluttazione con un amico del proprietario di casa che riusci’ a metterlo in fuga. Allora furono repertate alcune macchie di sangue riconducibili ai banditi, e inviate al Racis dell’Arma (Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche), che riusci’ ad identificare due dei banditi, di nazionalita’ albanese. Gli inquirenti hanno cosi’ scoperto l’esistenza di un gruppo di albanesi dediti a furti e rapine in serie, e sempre con lo stesso modus operandi. Tra gli episodi piu’ cruenti quello avvenuto nel maggio 2017, quando gli albanesi colpirono in un’abitazione di Giugliano in Campania; uno dei malviventi, scoperto da un agente della Polizia di Stato libero dal servizio, esplose dei colpi d’arma da fuco al suo indirizzo, ma l’agente rispose e feri’ il ladro, che fu poi arrestato. Dalle indagini e’ emerso che gli albanesi agivano come veri e propri professionisti; arrivavano a notte fonda nella zona prescelta in auto, e si facevano venire a riprendere all’alba dopo aver svaligiato numerosi appartamenti. In casa si muovevano provando a non far rumore: indossavano vestiti scuri e camminavano senza scarpe, ma era rigorosamente armati di pistola o mazze, e li usavano quando era necessario. Prima di fuggire inoltre si impossessavano delle chiavi dell’auto dei proprietari, asportavano il veicolo e poi, con la complicita’ dei due indagati italiani, contattavano i proprietari per il cosiddetto cavallo di ritorno. Se l’operazione non andava a buon fine, consegnavano la macchina a dei ricettatori attraverso officine compiacenti.
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