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Viaggi a Dubai, soggiorni al Vanvitelli di Caserta e 80mila euro: il prezzo della corruzione del giudice Longo

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Viaggi pagati a Dubai con moglie e figli, un capodanno al Grand Hotel Vanvitelli di Caserta e 80mila euro in contanti: è il prezzo della corruzione del magistrato napoletano Giancarlo Longo, in servizio alla Procura di Siracusa e trasferito al Tribunale civile di Napoli e da gennaio nella sede distaccata di Ischia, dopo l’avvio dell’inchiesta che lo ha portato stamane in carcere. Longo arrestato dalla Guardia di Finanza insieme a due avvocati siracusani, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, insieme ad altre 12 persone tra i quali imprenditore e il giornalista Pino Guastella, avrebbe creato un vero e proprio metodo Longo per favorire i clienti dello studio Amara-Calafiore. Il viaggio a Dubai sarebbe stato pagato da un altro avvocato il romano Fabrizio Centofanti, anche lui arrestato. Ma le somme, dicono gli inquirenti, sarebbe state solo anticipate da Centofanti e in realtà la fonte ultima del denaro sarebbe stata Amara. I magistrati di Roma e Messina che hanno indagato sul caso Siracusa hanno scoperto una vera e propria associazione a delinquere in cui il magistrato aveva un ruolo rilevante. Per anni avrebbe messo a disposizione la sua funzione giudiziale, in cambio di soldi, per aiutare i clienti dei due avvocati siracusani. I magistrati che ne hanno chiesto l’arresto parlano di “mercificazione della funzione giudiziaria”. E aggiungono: “Longo usava le prerogative a lui attribuite dall’ordinamento per curare interessi particolaristici e personali di terzi soggetti dietro remunerazione. Tali condotte vengono riscontrate a partire dal 2013 e perdurano sino ai primi mesi del 2017”. I metodi usati da Longo erano tre: creazione di fascicoli “specchio”, che il magistrato “si auto-assegnava al solo scopo di monitorare ulteriori fascicoli di indagine assegnati ad altri colleghi (e di potenziale interesse per alcuni clienti rilevanti degli avvocati Calafiore e Amara), legittimando così la richiesta di copia di atti altrui, o di riunione di procedimenti; fascicoli “minaccia”, in cui “finivano per essere iscritti – con chiara finalità concussiva – soggetti ‘ostili’ agli interessi di alcuni clienti di Calafiore e fascicoli “sponda”, che venivano tenuti in vita “al solo scopo di creare una mera legittimazione formale al conferimento di incarichi consulenziali (spesso, radicalmente inconducenti rispetto a quello che dovrebbe essere l’oggetto dell’indagine), il cui reale scopo era servire gli interessi dei clienti di Calafiore a Amara”. Secondo il giudice che ha emesso l’ordinanza Longo “ha dimostrato di possedere una personalità incline al delitto, perpetrato attraverso la strumentalizzazione non solo della funzione ricoperta, ma anche dei rapporti personali e professionali”. “La gravità delle condotte da lui poste in essere in qualità di pubblico ufficiale che svendeva la propria funzione, – prosegue – concorreva alla redazione di atti pubblici ideologicamente falsi, si faceva corruttore di altri pubblici ufficiali, con piena accettazione da parte degli stessi, che venivano per giunta da lui remunerati con soldi pubblici, intratteneva una rete di rapporti dall’origine oscura e privi di apparente ragion di essere oltre che, in certi casi, contraria ai più elementari principi di opportunità, depone nel senso della assoluta insufficienza a contenere il pericolo di reiterazioni criminosa attraverso misure diverse e meno afflittive della custodia cautelare in carcere”.
Longo, inoltre, sarebbe stato avvisato da un collega sulle indagini che lo riguardavano e a questo proposito commissionò a un privato che lavorava con la Procura di effettuare una bonifica all’interno del suo ufficio per verificare l’eventuale presenza di microspie. Con il tecnico si giustificò dicendo che ad indurlo in allarme era stata la “visita” dei finanzieri inviati dalla Procura di Messina che, in effetti, stavano indagando sul collega. La bonifica non diede frutti, ma Longo, qualche giorno dopo, trovò le “cimici” da solo. Una telecamera piazzata nella stanza lo immortala mentre sale sulla scrivania per perlustrare l’ufficio. Per accertare chi gli avesse dato la ‘dritta’, gli inquirenti decisero di sequestrargli il cellulare e andarono in Procura, ma l’ex pm non c’era. Ad avvertirlo fu un collega, anche lui già indagato e condannato per vicende analoghe, Maurizio Musco. A quel punto, Longo si precipitò in ufficio e dichiarò: “Non ho al seguito il cellulare contraddistinto in quanto, lo stesso, si e’ rotto. Preciso, altresi’, che tale apparato telefonico si trova presso la mia abitazione di Mascalucia”. Ma chiaramente a casa dell’ex pm del telefonino non c’era traccia. Longo l’aveva fatto sparire.
Lo scorso anno era stato sanzionato dal Csm in seguito ad un procedimento disciplinare ed aveva chiesto, quindi il trasferimento in prevenzione, al Tribunale civile di Napoli.
Tra gli arrestati di stamane c’è anche Giuseppe Guastella, il giornalista della rivista settimanale il Diario diffusa in provincia di Siracusa. Guastella è finito ai domiciliari, per aver ricevuto soldi da Amara – tra l’altro avvocato esterno dell’Eni – per intentare una campagna stampa contro i magistrati Marco Bisogni e Tommaso Pagano, incaricati di valutare i fascicoli iscritti nei confronti di clienti degli avvocati Amara e Calafiore. In carcere sono finiti: Piero Amara, Giuseppe Calafiore, Giancarlo Longo e Alessandro Ferraro.
Ai domiciliari: Giuseppe Guastella, Davide Venezia, Fabrizio Centofanti, Mauro Verace, Salvatore Maria Pace, Vincenzo Naso, Francesco Perricone, Sebastiano Miano, Ezio Bigotti e Luciano Caruso. Indagati anche Gianluca De Michele e Francesco Perricone.


Articolo pubblicato il giorno 6 Febbraio 2018 - 13:38

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