Tra Lontri e Lontre: l’incipit del titolo di questo articolo può apparire un po’ provocatorio. Ma esso non vuole mettere in discussione la “grande” storia di un “piccolo” fiume e della sua davvero piccola colonia di lontre le quali – come abbiamo già raccontato – popolano le sue acque più pulite.
Il Sarno è un fiume breve, una frontiera d’acqua lunga meno di 25 chilometri, che attraversa però ben tre province e vanta un bacino idrografico di tutto rispetto, esteso su un area di circa cinquecento chilometri quadrati. Insomma un primato.
Com’è suo purtroppo un altro indiscusso – ma triste – primato detenuto per decenni nella seconda metà “secolo breve”, il Novecento, e che detiene tuttora: il primato di fiume più inquinato d’Europa. Questo è un primato che però forse ha perso.
Ma solo perché l’inquinamento, non quello dei reflui urbani, ma quello più letale dei reflui tossici industriali si è apprezzabilmente attenuato, travolto anch’esso dalla crisi globale degli ultimi anni. E da quella della industria conciaria.
La Solofrana oggi non affonda più la sua lama liquida mortale nelle acque fredde del Dragone, a spegnerne la vita biologica che si era ridotta alle fetide tracce rossastre dell’industria del pomodoro, che sperò sempre meno ne punteggiano l’acqua color marrone, ora che la lavorazione dell’oro rosso si è spostata in Puglia.
Quello di Dragone è stato il nome più gettonato nei secoli, attribuito al fiume anche nelle sue forme più lievi e gentili, come Dragoncello o in quelle più impervie e strane, come Draco, Draconzio o anche Draconte.
Questo altalenare di nomignoli era sopravvenuto dopo che esso aveva perso il nome originario di Saron – da cui poi Sarno – portato qui da genti pelasgiche provenienti dal mare all’oriente del Peloponneso e attratte dalle fertili coste campane.
IL Lontro, in antico Linter o anche Lunter, era la tipica imbarcazione a fondo piatto del Sarno, presente però in altri fiumi del sud con leggere variazioni.
Esso era in realizzato normalmente in legno di quercia e lungo circa 5 metri. E il lontraio lo faceva avanzare silente manovrando una lunga pertica nell’acqua pescosa e trasparente.
Per bilanciare la poppa si ricorreva a un blocco una pietra in tufo imbibita di acqua. Gli attuali e superstiti lontri – forse ormai meno delle dita di una sola mano in tutto il corso del Sarno – richiamano nella loro essenzialità formale gli antichissimi lontri scoperti a Lòngola durante gli scavi del sito protostorico.
I battelli del “bronzo medio” longoliano erano però monossili, cioè formati da un unico tronco in cui erano “scavati”dalle sapienti mani sarrastre.
I lontri “moderni” erano invece formati da tavole inchiodate e connesse saldamente. Il Parco Archeofluviale di Lòngola potrà essere anche questo: contenitore e custode delle testimonianze antropiche della cultura materiale della Valle del Sarno, divenendo così un vero e proprio Museo Territoriale.
Federico L.I. Federico
Articolo pubblicato il giorno 1 Febbraio 2018 - 20:30