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Lòngola: la prossima apertura del Sito Archeofluviale avverrà il 24 e 25 Febbraio

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Abbiamo già visto che facilmente si arriva a Lòngola con un viaggio breve, su strade scorrevoli che attraversano campi di terra nera e ricca di humus, resa particolarmente fertile dalle poco profonde falde acquifere, le quali fanno da corona al pigro procedere del fiume Sarno. E proprio il Sarno è il protagonista diretto della storia di Lòngola. La Valle del Sarno peraltro è stata da sempre terra ricca ed ospitale per le popolazioni italiche, che ne utilizzavano al meglio il ruolo di area cerniera per il commercio tra l’entroterra ed il mare Tirreno, prima etrusco, poi greco, poi saldamente romano. E il fiume Sarno conserva nel proprio stesso nome conserva la radice italica “RN”, comune ad altri fiumi campani come il VoltuRNo e l’IRNo, che racconta la liquidità sinuosa ed avvolgente dell’ acqua che scorre verso il mare, senza furia, ma inesorabilmente.
D’altra parte, la vicenda del Sito Archeofluviale di Lòngola è soprattutto storia di acqua e di acque ed è quella che qui di seguito tratteggiamo. In piena campagna e lungo quel tratto del fiume Sarno, dopo anni di discussioni, programmi e ripensamenti, si decise l’insediamento di uno dei tre grandi impianti di depurazione che accompagnano lo snodarsi del Sarno nel suo percorso fluviale: l’alto, il medio ed il basso Sarno. L’attuazione del programma del Medio Sarno fu affidato alle strutture prefettizie, direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, allo scopo di superare in forma commissariale le mille difficoltà burocratiche e politiche di un insediamento del genere, accolto e visto dalle comunità locali con lo stesso entusiasmo che si riserva alle sciagure.
Superate tutte le difficoltà tecnico-amministrative, si era dato corso alla attuazione del Progetto del Depuratore del Medio Sarno. Quando, però, nel corso dei lavori, si procedette alla esecuzione dei pali necessari a sostenere le grandi vasche di depurazione, enormi catini cementificati di varia forma…si verificò l’imprevisto. Un fatto nuovo sconvolse i programmi.
Dalle fondazioni del depuratore, ubicato a mezza strada tra Poggiomarino e Sarno – là dove pomodori, patate e broccoli di prima qualità la facevano da padroni – stavano emergendo frammenti di ceramiche antiche, pezzi e pali di legno in grandi quantità. Da qui alla temporanea sospensione dei lavori e all’inizio di una campagna di saggi archeologici – che si tramutarono poi in una vera e propria campagna di scavi archeologici – il passo fu breve, anche se contrastato.Infatti, si confrontarono a lungo i Ministeri dell’ambiente e quello dei Beni Culturali: il primo impegnato sul fronte del risanamento del fiume e il secondo impegnato sul fronte della tutela e della salvaguardia dei beni archeologici rinvenuti. Fu scartata la ipotesi mediatoria della “coabitazione” tra impianto di depurazione e area archeologica, anche se l’area demaniale a disposizione era ampia circa sessantamila metri quadrati. Forse fu un errore. E ciò è costato allo Stuttura commissariale un esborso di circa sessanta milioni di euro.
Fortunatamente però, gli scavi di Lòngola poi si sono rilevati come la più straordinaria scoperta di archeologia preistorica degli anni duemila. E ciò, in un territorio – quello pedevesuviano – famoso fino a quel momento soprattutto per la archeologia romana o, meglio, per la archeologia vesuviana, intendendo con questa definizione quella di epoca romana, emergente dalle stratigrafie eruttive vesuviane. I livelli più profondi, appartenenti alle epoche preromane anche arcaiche, in Campania si erano poco indagati fino a pochi decenni prima. Ma intanto si erano verificati i ritrovamenti della piana casertana della zona d’Aversa, seguiti dai ritrovamenti delle capanne preistoriche di Croce del Papa a Nola. Ora l’attenzione era destata dall’eccezionale sito preistorico di Poggiomarino, con il suo carico altrettanto eccezionale di problemi, tecnici ed operativi.Il sito preistorico risultava infatti a una profondità di ben oltre i cinque metri dal piano di campagna. Lo scavo in profondità si doveva svolgere “sotto falda”, cioè a livelli inferiori alla falda acquifera, in quei terreni profonda non più di un paio di metri al di sotto del livello di campagna. In quel posto il pelo d’acqua del contiguo fiume Sarno si trovava più in alto di oltre sei metri dalla quota del sito protostorico.

Federico L.I. Federico

(2continua)


Articolo pubblicato il giorno 14 Febbraio 2018 - 16:40



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