Resta in carcere Giancarlo Longo, l’ex Pm di Siracusa arrestato il 7 febbraio con l’accusa di associazione a delinquere, falso e corruzione. Lo ha deciso il gip di Messina che ha respinto la richiesta del legale del magistrato di sostituire la custodia cautelare in carcere con i domiciliari. Secondo la Procura di Messina che ne ha chiesto e ottenuto l’arresto, Longo, che mesi fa e’ stato trasferito al tribunale civile di Napoli, avrebbe pilotato fascicoli di indagine per favorire i clienti di due avvocati siracusani, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, anche loro arrestati. Dall’inchiesta che ha coinvolto in tutto 15 persone e’ emerso che Longo, in cambio, avrebbe ricevuto 88 mila euro e in regalo un Capodanno con la sua famiglia a Dubai e un altro in un hotel extralusso di Caserta.Secondo il gip di Messina Maria Ventimiglia, che ha respinto la richiesta della difesa di Longo, l’interrogatorio di garanzia, al termine del quale e’ stata chiesta la sostituzione dell’arresto coi domiciliari, avrebbe rafforzato il quadro indiziario a carico dell’ex pm. Il magistrato non avrebbe fornito elementi che smentiscono i suoi rapporti confidenziali con Amara e Calafiore. Il giudice trova “risibili” le spiegazioni date dall’ex pm sul fatto che, durante la vacanza a Caserta, suo figlio e il figlio di Calafiore avessero preso la stessa camera. Prova, per l’accusa, del rapporto intimo tra le due famiglie. Nel corso dell’interrogatorio Longo ha detto che i ragazzi non avrebbero comunque dormito insieme. Inoltre, ha scritto il gip, Longo ha ammesso di aver conferito incarichi di consulenza nella sua abitazione e non in ufficio. Tra le contestazioni fatte all’ex pm c’e’ quella di aver assegnato a consulenti compiacenti incarichi tecnici per precostituire elementi a favore di clienti di Calafiore e Amara come il gruppo imprenditoriale Frontino. Il giudice ha anche ritenuto poco credibili le spiegazioni date dall’ex pm sul viaggio a Dubai, secondo l’accusa pagato, attraverso una terza persona, da Amara e Calafiore. Per il gip resta l’attualita’ delle esigenze cautelari visto che l’indagato fino all’ultimo, pur avendo sospettato che a suo carico fosse stata aperta un’inchiesta, “non ha esitato a rimuovere le telecamere e i dispositivi di monitoraggio collocati nel suo ufficio e ha occultato, probabilmente con la complicita’ di familiari, il cellulare che gli era stato richiesto dagli investigatori”. Restano, inoltre, attuali per il giudice il pericolo di inquinamento delle prove, anche grazie all’aiuto di familiari come il suocero, anche lui indagato, e quello di reiterazione del reato.
Articolo pubblicato il giorno 13 Febbraio 2018 - 17:26