Un nuovo ergastolo potrebbe colpire presto il boss dei Casalesi, Francesco Schiavone detto Sandokan. E’ stato chiesto dalla pubblica accusa nel processo in Corte di Assise per l’omicidio del vigile urbano di Casal di Principe, Antonio Diana avvenuto nel lontano 1989. Mentre per Giovanni Diana, detto giannino o’ pazzo la pubblica accusa ha chiesto 27 anni di carcere. Il suo difensore, l’avvocato Paolo Gallina, ha fatto emergere nel corso del dibattimento le numerose contraddizioni tra il racconto dei vari pentiti. Non ultime le discordanze emerse tra il racconto fatto dal boss pentito Antonio Iovine o’ ninno che si è accusato dell’omicidio e quella degli altri collaboratori di giustizia tra cui Cipriano D’Alessandro, Luigi Diana, Giuseppe Quadrano e Carmine Schiavone (morto nel 2015). “L’ultimo omicidio a cui ho partecipato personalmente come esecutore e’ quello del vigile urbano di San Cipriano d’Aversa”. Cosi’ l’ex boss del clan dei Casalesi, Antonio Iovine, detto o’Ninno, collaboratore di giustizia, si autoaccusa il 9 maggio 2014 davanti ai pm, contribuendo a far luce sull’omicidio del vigile urbano Antonio Diana di San Cipriano d’Aversa avvenuto nel 1989 e maturato nell’ambito di una guerra interna tra i Bardellino e gli Schiavone. Il caso era rimasto irrisolto. Iovine ha raccontato di aver commesso personalmente l’omicidio con Raffaele Diana e Giuseppe Caterino, e le sue dichiarazioni fanno parte integrante del processo. Il pentito ha spiegato di aver chiesto al fratello Giuseppe, anch’egli vigile urbano, i turni di servizio e di aver così saputo che Diana il giorno scelto per l’agguato era a lavoro. “Siamo usciti con una Fiat Uno di colore scuro, Giuseppe Caterino (altro elemento di spicco del clan, ndr) guidava la macchina, io stavo a fianco e Raffaele Diana stava dietro”, ricorda Iovine, indicando gli esecutori materiali del delitto. “Io ricordo sono sceso per primo quindi ho sparato un solo colpo calibro 12, lui è caduto a terra; poi è sceso dietro di me Raffaele Diana e ha sparato anche lui; se non vado errando l’ha sparato nelle parti basse.Poi andammo al cimitero di San Cipriano dove consegnammo la macchina per farla incendiare, ma non ricordo chi se ne occupo’. Le armi le consegnammo a Giovanni Diana”.
Antonio Iovine nelle sue dichiarazioni ha ricordato che dell’omicidio del vigile nel gruppo se ne parlava gia’ da tempo per vendicare l’omicidio di Maurizio Russo nel quale l’agente della municipale aveva fatto da specchiettista secondo Sandokan. Sul caso dei documenti del vigile urbano ritrovati in un incidente aereo qualche giorno prima dell’omicidio, il boss pentito dice di non sapere nulla. Il volo parti’ da Orio al Serio e doveva arrivare a Santo Domingo, ma precipito’ alle Azzorre. “Non ne ho mai sentito parlare ma ricordo che a Santo Domingo c’era la compagna di Antonio Bardellino, Rita De Vita, con la quale aveva avuto tre figli”. A questo proposito, il collaboratore in un interrogatorio questo anno ha raccontato di essersi ricordato di quell’episodio e che Antonio Diana si decise di ucciderlo proprio quando cadde l’aereo per Santo Domingo e furono ritrovati i suoi documenti. Dell’agguato avvenuto in via Roma alle 18.45 dell’11 febbraio 1989, Iovine ricorda anche le armi utilizzate: un fucile Safari a pompa calibro 12, un fucile da caccia e una Beretta 9X21 che non esplose colpi. “Avevo il volto coperto da passamontagna in quanto avvenne in pieno giorno la Fiat Uno che utilizzammo era stata rubata in precedenza”. Su un particolare, ‘o Ninno non ha saputo dare delle spiegazioni. Secondo Iovine, infatti, all’omicidio non partecipo’ Cipriano D’Alessandro, e non ha saputo spiegare per quale motivo questi si sia autoaccusato che “non aveva funzioni di killer bensi’ attivita’ imprenditoriali”. Ma come ha fatto notare alla corte l’avvocato Paolo Gallina, (difensore di Giovanni Diana arrestato nel 2016) il pentito Cipriano D’Alessandro non solo rispetto a Iovine dice di aver partecipato in prima persona a quell’agguato ma ha fornito indicazioni diverse anche rispetto all’auto utilizzata dal commando di morte e al luogo in cui fu bruciata l’autovettura.
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