“La morfologia di alcune strutture camorristiche si caratterizza, da diverso tempo, per l’assenza, al vertice, di leader autorevoli, molti dei quali sottoposti al regime previsto dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, altri passati a collaborare con la giustizia, motivi per cui si è innescata una lunga fase di accese e caotiche conflittualità in seno alle strutture stesse, generando lotte intestine e scontri per assicurarsi il comando. E’ il quadro tracciato dalla Dia nella Relazione sull’attività svolta nel primo semestre del 2017. “La disomogeneità strutturale che caratterizza l’attuale sistema criminale avrebbe determinato, come conseguenza ulteriore, la fluidità delle ‘alleanze’, incidendo sulla stabilità dei rapporti tra i vari gruppi camorristici. La disarticolazione di potenti clan – evidenzia la Relazione – ha concesso a figure di ‘scarso rilievo criminale’, di accedere a ruoli di comando, spesso condividendoli con le terze generazioni che hanno sostituito i vecchi leader senza, tuttavia, ereditarne strategie ed autorevolezza. Ciò ha originato le scissioni o la nascita di nuove aggregazioni di giovanissimi, sottoposti a criminali altrettanto giovani, animati da ambizioni di potere”. “La conseguenza è stata il materializzarsi di tanti ‘piccoli eserciti‘, sovente formati da ragazzi sbandati, senza una vera e propria identità storico-criminale – spiega la Dia – che, da anonimi delinquenti, si sono impadroniti del territorio attraverso una quotidiana violenza più che mai esibita, utilizzata quale strumento di affermazione e assoggettamento ma, anche, di sfida verso gli avversari. In questo contesto di ‘fibrillazione’ criminale, il dato caratterizzante è fornito dall’età dei singoli partecipi, sempre più bassa non disgiunta dalla commissione di atti di inaudita ferocia, anche dovuta a una percezione di impunità, tanto da indurli a un esordio criminale addirittura da adolescenti”.
“A Napoli, parallelamente al persistente stato di contrapposizione violenta tra bande per la conquista del territorio, clan piu’ strutturati e dalla forte vocazione imprenditoriale persistono nella logica dell’inabissamento”. E’ quanto emerge dall’ultima Relazione semestrale della Dia, secondo cui “alcuni clan camorristici storici – distanti dalle esibizioni violente delle bande di adolescenti – mantengono il controllo delle aree di influenza grazie all’indiscussa forza di assoggettamento, ad una strategia di mimetizzazione e a scelte operative che prediligono i grandi traffici internazionali e i conseguenti investimenti in altre regioni d’Italia ed all’estero”. Tra questi clan si segnalano i Mallardo di Giugliano in Campania, i Polverino e i Nuvoletta di Marano di Napoli, i Moccia di Afragola, “sodalizi di pluriennale tradizione, che nel panorama delinquenziale di matrice mafiosa restano tra le organizzazioni piu’ strutturate e potenti della Campania, caratterizzate da una consolidata capacita’ economica ed imprenditoriale di altissimo livello”. Per gli analisti, “tra i fattori che indubbiamente concorrono alla ‘sopravvivenza’ di tali storiche fazioni vi e’ anche il condizionamento di settori nevralgici dell’economia locale – spesso legati a forniture e appalti – e l’infiltrazione negli apparati pubblici”. La provincia di Caserta, assieme a quella di Napoli, e’ l’area della Campania “a maggiore densita’ mafiosa”: le organizzazioni camorristiche locali risultano ancora “strutturate secondo un modello mafioso gerarchico, facendo riferimento a capi clan quasi tutti detenuti. In particolare, il cartello dei Casalesi continua ad esercitare la propria forza di intimidazione attraverso le estorsioni e il condizionamento degli apparati pubblici”. Tuttavia, “anche nell’avellinese, nel beneventano e nel salernitano sono operativi gruppi autoctoni strutturati, con caratteri tipicamente mafiosi, funzionalmente pronti ad assicurare sostegno logistico e militare ai clan delle aree limitrofe”.Sul piano generale, i principali settori da cui le organizzazioni camorristiche continuano a trarre profitti sono il traffico di droga, lo smaltimento e la gestione illecita dei rifiuti, il contrabbando di sigarette, la commercializzazione di prodotti con marchi contraffatti, la gestione di giochi e scommesse, la falsificazione di banconote.
“La presenza di un numero elevato di sodalizi che si contendono anche piccoli territori, spesso singole piazze di spaccio, provoca antagonismi che sfociano in scontri sanguinosi – si legge nella Relazione – Le zone ove è palpabile il persistente stato di fibrillazione tra i vari gruppi sono i quartieri del centro storico di Napoli e le sue periferie, che hanno sempre stimolato l’attenzione dei clan per il controllo dei mercati di droga, per le estorsioni e la contraffazione. Si tratta di territori dove si registra, altresì, un’escalation della criminalità comune, con particolare riferimento ai reati predatori e contro la persona, come rapine e furti in abitazione, che risultano in crescita”. “Si sono susseguiti, in un continuum con i semestri precedenti, gli scontri a fuoco tra passanti inermi, ad opera di delinquenti armati, effetto della descritta condizione di instabilità degli equilibri criminali. Il numero più elevato di attentati, omicidi e tentati omicidi – rileva la Dia – ha riguardato le aggregazioni camorristiche del centro storico, ma significativo appare anche il dato numerico relativo agli omicidi, collegati all’area dei comuni a nord della città di Napoli”.
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