Quella di Bagnoli è una delle vicende italiane più gravi per quanto riguarda i ritardi nell’attuazione delle opere di bonifica e i risanamenti ambientali del nostro Paese. È tempo per l’Italia di voltare pagina: non possiamo più permetterci questo sperpero di denaro pubblico e l’incremento dei rischi per la salute dei cittadini derivante da un inquinamento protratto da false operazioni di bonifica”.
Così Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente commenta la sentenza emessa oggi dal Tribunale di Napoli nel processo di primo grado per la mancata bonifica dell’area di Bagnoli e dell’ex Italsider che si è concluso con sei condanne.
«Fino ad ora – aggiunge Ciafani – questi ritardi non solo hanno alimentato reati ambientali, ma non hanno permesso di costruire la filiera industriale delle bonifiche che altrove, a partire dagli Stati Uniti, sono una parte importante dell’industria innovativa del ventunesimo secolo. Grazie alla nuova legge sugli ecoreati, e l’introduzione del delitto di omessa bonifica, il nostro augurio è che d’ora in poi la velocità del risanamento ambientale in Italia sia tale da chiudere le sventurate stagioni di inquinamento partite con l’industrializzazione del secondo dopoguerra».
«Ancora una volta – aggiunge Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania – la magistratura deve sostituirsi alla politica. Assistiamo a un copione che in Campania si ripete ogni qualvolta si parla di bonifiche di siti contaminati. Ieri le discariche dell’ecomafia, oggi Bagnoli, ma con un unico comune denominatore: la bonifica nella nostra regione è una lontana chimera dove corruttela, sprechi e inquinamento la fanno da padrone. La sentenza di oggi rappresenta l’epilogo di un’annosa vicenda che vede ancora ferite mai rimarginate su quel territorio, bonifiche mai realizzate e partite con grande ritardo».
Come già sollecitato nel documento consegnato in occasione dell’audizione dalla Cabina di Regia per Bagnoli del gennaio 2016, Legambiente chiede alle istituzioni di «arrivare alla più rapida, efficace e coerente risoluzione delle criticità che ostano la bonifica del SIN, per il successivo processo di rigenerazione dell’area, che deve tener conto delle moderne strategie di contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici e alla massima limitazione del consumo di suolo anche con interventi di forestazione urbana e di espansione delle aree naturali». Nello stesso documento l’associazione ha chiesto inoltre di assicurare l’applicazione del principio “chi inquina paga” per evitare che i responsabili dell’inquinamento possano sottrarsi agli obblighi di porre rimedio ai danni prodotti, ma anche essere addirittura destinatari di incentivi o altri benefici a fronte degli oneri che sarebbero a loro carico.
Articolo pubblicato il giorno 6 Febbraio 2018 - 15:32