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Ci stiamo tutti chiedendo di chi è la colpa. Un po’ tutti puntano il dito contro lo Stato, la Scuola e la Famiglia. Personalmente aggiungerei la Chiesa.

Il primo colpevole è certamente lo Stato che ha abbandonato il Sud. Infatti il Meridione oggi è fra le zone più in difficoltà in Europa con una disoccupazione giovanile sopra il 60% e con la fuga dei suoi giovani più brillanti. Questa difficile situazione economica pesa ancora di più nelle periferie delle grandi città, soprattutto a Napoli. Per i giovani non c’è lavoro, non c’è speranza, non c’è futuro. Né la Regione Campania, né il Comune di Napoli hanno una seria politica verso le periferie, verso gli impoveriti di questa città. Non vedo una volontà politica di far incontrare la ‘Napoli bene’ con la ‘Napoli malamente’ delle periferie. Due città che non vogliono incontrarsi. La ’Napoli bene’ sembra concentrata a salvare se stessa e poco interessata ai drammi delle periferie.

Ma anche la Scuola è sul banco degli imputati. Non è solo il problema degli insegnanti, ma è un problema strutturale. Lo Stato sta tagliando i fondi alla scuola, eppure lo Stato italiano spende sessantaquattro milioni di euro al giorno in armi. I soldi ci sono, ma non per i bisogni essenziali della gente come scuola, sanità, welfare. Nelle periferie lo Stato deve investire seriamente nelle scuole, che siano a tempo pieno, aperte fino alle otto di sera, con una varietà di servizi supplementari per i ragazzi. Il quartiere dove opero ha una popolazione di circa 50.000 abitanti, non ha nessun asilo comunale, ma per fortuna ha un complesso di scuole elementari che funziona bene. In questo quartiere invece non c’è nessun complesso di scuole medie (il 30-40% di ragazzini si perde per strada) ed un unico Istituto Superiore che lo scorso anno ha perso il 50% dei suoi alunni e il 74% del primo biennio è stato bocciato. Per questo come Rete del Rione Sanità chiediamo scuole d’infanzia comunali, un complesso di scuole medie e un rafforzato istituto superiore con professori preparati per questi ambienti, tempo pieno, spazi educativi extra-scolastici e campi sportivi. Qui al rione Sanità abbiamo tre bei campi di pallone ma di fatto inutilizzabili. Dove possono andare questi ragazzini a giocare se non per strada?

Ma lo Stato è sotto accusa anche per la questione lavorativa. I ragazzini che crescono in periferia non hanno un futuro lavorativo e i giovani laureati devono fuggire al Nord o all’estero per trovare un lavoro. Chi rimane, soprattutto in periferia, non ha altra alternativa che entrare nello spaccio della droga, dato che Napoli è diventata la più importante piazza di spaccio in Europa e la cocaina un fenomeno di massa. E poi lo Stato deve provvedere sicurezza sulle strade. In anni di lotte abbiamo ottenuto in questo quartiere solo le telecamere. Ma in Piazza Sanità devo ancora vedere un servizio fisso di vigili per educare alle regole, seppur stradali!
Ma oggi sotto i riflettori c’è anche la Famiglia. Nelle periferie questa fondamentale realtà è spesso in seria difficoltà, per cui i figli finiscono per strada di giorno e di notte. Queste famiglie del sottoproletariato napoletano avevano dei bei valori, purtroppo spazzati via dal consumismo di questi anni, alimentato da televisione sempre accesa nella case e quasi sempre su canali commerciali. Per cui l’unico valore che è rimasto ormai è quello di fare soldi e di farli al più presto per vivere la ‘vita bella’ vista in TV. E’ in questo contesto che crescono i ragazzini delle nostre periferie. Il sociologo De Masi afferma che si è creata “una voragine etica tutta da addebitare al fallimento delle tre agenzie: famiglia, scuola e i media.”

A mio parere sul banco degli imputati c’è anche la Chiesa che, per sua natura, dovrebbe essere un’agenzia educativa e purtroppo in questo deve riconoscere il proprio fallimento. La nostra è una Chiesa, in gran parte, dedita al culto e spesso incapace di legare fede e vita. Con una notevole presenza di ragazzini di ‘strada’, la chiesa dovrebbe investire in oratori, dove questi ragazzini possono sentirsi accolti, amati, ove trovare un ‘grembo materno’. I religiosi dovrebbero lasciare i loro conventi e vivere con la gente delle periferie come Papa Francesco sta chiedendo: ”Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo – scrive Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium. Preferisco una chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per strada, piuttosto che una chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze.”

Ecco perché ho scelto di vivere nel Rione Sanità. Con me c’è padre Arcadio Sicher, francescano che ha vissuto lunghi anni nelle baraccopoli d’Africa ed anche una laica consacrata Felicetta Parisi (pediatra). Viviamo, come tanti nostri vicini, in spazi molto ristretti. La nostra è una presenza povera e semplice, fatta di contatti e relazioni, soprattutto con i più poveri, i malati, gli anziani soli, gli emarginati (Rom, migranti, senza fissa dimora). Camminiamo con la gente, con il popolo della Sanità (non abbiamo nè progetti né strutture). 
“Io sono una missione su questa terra – dice Papa Francesco – e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere se stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare.” E questo non solo in chiave personale, ma anche strutturale. E’ questo secondo aspetto il più difficile in queste periferie di Napoli ,dove è così difficile far partire movimenti popolari per ottenere i propri diritti. Ecco perché anche noi abbiamo scelto ‘d’iniziare processi più che occupare spazi’ come dice Papa Francesco. “Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finchè fruttifichino in importanti avvenimenti storici.”

E’ quanto stiamo tentando di fare con la Rete del Rione Sanità, battendoci perché lo Stato si occupi seriamente della Scuola, crei lavoro per chi non ce l’ha, offra sicurezza sulle strade, offra spazi di cultura e di gioco per i più piccoli. Solo così potremo offrire una speranza ai ragazzini abbandonati a se stessi di queste periferie. Ma non è semplice. Avevamo dato inizio, dopo l’uccisione di Genny, al Popolo in Cammino nella speranza di coinvolgere altre periferie. Ma anche questa iniziativa si è già arenata . Ma non ci scoraggiamo!
Ci sono voluti secoli per creare questo individualismo storico del Sud, ci vorrà tempo e pazienza perché le periferie di Napoli si uniscano per chiedere i loro diritti. Ma questo avverrà solo se un popolo unito scenderà in piazza per chiederlo. Ecco il nostro sogno che ha le sue radici nelle fede in un “Dio privo di credenziali nell’impero, sconosciuto nelle corti, non gradito nel tempio – come afferma il biblista americano W. Brueggeman. La sua storia inizia con il prestare attenzione alle grida degli emarginati.”


Articolo pubblicato il giorno 15 Febbraio 2018 - 20:37


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