La cricca di Caserta dei permessi fasulli per l’ingresso degli immigrati in Italia avrebbe incassato centinaia di migliaia di euro.E’ quanto emerge dall’ordinanza emessa ieri dal gip Orazio Rossi dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere. Il costo per ogni singolo permesso variava dai mille ai quattro mila euro, a seconda delle difficoltà dell’operazione e dei documenti falsi prodotti per sistemare il carteggio. In un caso è stato rilasciato uno dei permessi anche a un pakistano morto in un altro a una donna che avrebbe avuto addirittura dieci mariti diversi tutti stranieri ai quali è stato dato un altro dei permessi di soggiorno falsi per il ricongiungimento al coniuge. Il tutto era controllato e gestito da un unico funzionario corrotto dello sportello Unico della Prefettura di Caserta, Alfonso Moscia di 43 anni, raggiunto dalla misura cautelare, emessa dal Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, del divieto di dimora nella provincia di Caserta. Una misura che ha riguardato anche i fratelli pachistani Shahzad Ahmed di 45 anni – risultato irreperibile al momento della notifica – e Shahbaz Ahmed di 40 anni, ritenuti gli ideatori del business illecito e che gestiscono un pub a Marcianise, che avrebbe permesso a numerosi stranieri extracomunitari, quasi tutti loto connazionali, di ottenere il ricongiungimento in Italia dei propri cari pur non essendo in possesso dei requisiti previsti dalla legge, in particolare delle fonti di reddito adeguate per sostenere altri familiari.Abnormi le falsita’ accertate nella documentazione presentata dai fratelli Ahmed: tra i richiedenti il ricongiungimento un pachistano morto, o almeno dieci richieste provenienti dalla stessa donna pachistana per altrettanti mariti. L’inchiesta, coordinata dalla Procura della Repubblica diretta da Maria Antonietta Troncone, e’ stata realizzata dalla Squadra Mobile di Caserta che ha iniziato ad indagare nel 2014, in seguito a dei sospetti sul numero eccessivo di nulla osta per i ricongiungimenti concessi a cittadini pachistani. Da un’analisi a tappeto della documentazione e’ cosi’ emerso il giro di tangenti che ruotava esclusivamente attorno alla figura di Moscia, che nel suo ruolo di addetto allo Sportello per l’immigrazione, aveva il potere di effettuare quei controlli necessari per poi concedere il nulla osta per i ricongiungimenti. Ed invece, hanno accertato gli investigatori guidati da Filippo Portoghese e Marta Sabino, Moscia quei controlli non li svolgeva affatto, dando per legittimi documenti palesemente falsi. In cambio riceveva dai fratelli Ahmed tangenti e svariati regali. I due pachistani, che a loro volta venivano pagati dai connazionali che ambivano al ricongiungimento, presentavano cosi’ falsi certificati di residenza, contratti fittizi di locazione di immobili, dichiarazioni dei redditi “gonfiate”, il tutto pur di far apparire i propri clienti come persone possidenti e fornite dei mezzi necessari a dare sostentamento ai propri familiari una volta giunti in Italia. Sono numerose le pratiche false scoperte, alcune non andate a buon fine, altre si’; queste ultime probabilmente dovranno ora essere riesaminate.
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