Troppi scarichi industriali e cittadini nel fiume Sarno. Le indagini condotte da Legambiente descrivono un corso d’acqua ancora ‘sofferente’. Il fiume Sarno continua a versare in uno stato di forte sofferenza causato da scarichi di reflui urbani e industriali non depurati, inquinamento da fertilizzanti e pesticidi dell’agricoltura e difese naturali ridotte ai minimi termini, più incoraggiante la situazione del fiume Sele e del Tusciano. Questa la fotografia delle indagini condotte da Goletta dei fiumi della Campania promossa da Legambiente. Partendo dall’esperienza di monitoraggio degli anni scorsi del fiume Sarno, Legambiente allarga le sue iniziative anche al fiume Sele e al fiume Tusciano con 33 punti complessivi di campionamento, 594 determinazioni analitiche e 12 volontari coinvolti nelle attività di prelievo campioni di acqua e analisi. La Goletta dei Fiumi insieme alle storiche campagne di Legambiente come Goletta Verde, Spiagge e Fondali Puliti rappresenta un ulteriore pratica di esperienze di monitoraggio scientifico in tutto il paese grazie ai nostri volontari e considerate da più fonti istituzionali internazionali come una delle esperienze più avanzate al mondo della citizen science. Il monitoraggio svolto da Legambiente, tra il 20 settembre e il 6 ottobre, non vuole assolutamente sostituirsi o compararsi con quello realizzato dall’Arpac, soggetto pubblico deputato a valutare la qualità ambientale dei fiumi secondo le articolate modalità definite dalle vigenti disposizioni di legge. “I dati del monitoraggio e le ulteriori informazioni raccolte evidenziano la necessità di un cambio di rotta nelle politiche e negli approcci adottati ad oggi per questi tre bacini. Non è più sufficiente- commenta Giancarlo Chiavazzo, responsabile scientifico Legambiente Campania- mettere in atto iniziative estemporanee, volte solo a stare dietro le emergenze e spesso poco coerenti con gli obiettivi di qualità fissati in condivisione in ambito comunitario. Anche se in diverso grado, i tre fiumi indagati evidenziano diffuse criticità ecologiche, sia sotto l’aspetto della qualità delle acque sia della qualità morfologica e biologica, che si frappongono al raggiungimento dello stato di qualità buono richiesto al 2015. Per controvertire la situazione – conclude Chiavazzo di Legambiente-si dovrà in particolare porre rimedio alla carenza depurativa, sia in termini gestionali sia strutturali, che purtroppo determina lo sversamento di rilevanti carichi inquinanti di origine civile e produttiva; alla manomissione e degradazione delle fasce che affiancano gli alvei, sottoposte a tagli della vegetazione e riduzione dell’estensione laterale e longitudinale; alla manomissione e degradazione degli alvei, arginati, cementificati, artificializzati, con opere di fondo e laterali; alle disfunzioni derivanti dalla impermeabilizzazione ed artificializzazione dei suoli in ambito urbano e agricolo”. Eppure da tempo l’Europa richiama l’Italia ad avere corsi d’acqua in buono stato. Nel 2015 è scaduto il termine per il raggiungimento degli obiettivi ambientali previsti dalla direttiva 2000/60, in termini di conseguimento (o mantenimento) del “buono stato ecologico” per tutti i corpi idrici. “Ad oggi però circa il 60 per cento delle acque dei fiumi italiani si trova in uno stato di qualità insufficiente e un italiano su quattro non è servito da adeguata depurazione – sottolinea Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente -. I ritardi in questo settore costano multe salatissime all’Italia. Soldi che potrebbero essere spesi per mettere finalmente fine all’emergenza depurativa. Bisogna cambiare rotta e per far questo serve soprattutto la volontà politica di rimettere i fiumi e i territori fluviali al centro. Una corretta gestione della risorsa idrica deve prevedere azioni e strumenti che coinvolgano e responsabilizzino cittadini, associazioni, consorzi di bonifica, realtà agricole e industriali, gestori del servizio idrico, enti e amministrazioni locali. Con l’obiettivo comune di coniugare la qualità dei corpi idrici con la mitigazione del rischio, la riqualificazione dei corsi d’acqua e del territorio e lo sviluppo socio economico delle comunità locali”. Il primo e principale monitoraggio ha riguardato 16 prelievi di acqua lungo l’intero bacino del Fiume Sarno, compresi i torrenti Cavaiola, Laura e Solofrana utilizzando il LIMeco, un indice sintetico introdotto dal D.M. 260/2010 per la determinazione dello stato ecologico dei corsi d’acqua. Dei 16 punti indagati nel Bacino del Sarno, 10 non raggiungono una qualità sufficiente avendo totalizzato punteggi che gli assegnano uno stato di qualità “Scarso” per 4 punti e uno stato “Cattivo” per altri 6. Soltanto 6 campioni raggiungono una qualità sufficiente o superiore, di questi 2 raggiungono punteggi tali da avere assegnato uno stato di qualità “Sufficiente”, 3 lo stato “Buono” e soltanto 1 quello “Elevato”. Passando ad una valutazione dei singoli tratti la prima osservazione riguarda l’asta principale del Sarno, l’indagine delle sue 3 principali sorgenti (Santa Marina, Mercato Palazzo e Santa Maria a Foce) definisce classi di qualità del LIMeco rispettivamente “Sufficiente” per la prima e “Buono” per le altre due. Rio Santa Marina perde quindi lo stato “Buono” dello scorso anno di, mentre migliora Rio Palazzo che lo scorso anno aveva uno stato “Scarso” e infine Rio Santa Marina perde lo stato di qualità “Elevato” dello scorso anno. Procedendo verso valle per i 2 punti di campionamento successivi di S. Marzano e Scafati lo stato peggiora progressivamente da “Scarso” a “Cattivo”, con un peggioramento dello stato rispetto alle indagini del 2016. L’ultimo punto di campionamento alla foce del Sarno a Castellammare di Stabia è risultato “scarso” come lo scorso anno.
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