Il Sappe denuncia: “Ennesima aggressione a personale di polizia penitenziaria in carcere”. E’ un 30enne di Sarno il giovane detenuto che ieri nel carcere di Fuorni a Salerno ha aggredito un agente della polizia penitenziaria che lo accompagnava in cella al rientro dal colloquio con un familiare. E arriva l’ennesima denuncia da parte di Emilio Fattorello, segretario nazionale per la Campania del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Ecco la sua versione dei fatti: “Nella tarda mattina di ieri, lunedì 29 gennaio, nel carcere di Salerno, si è consumata l’ennesima aggressione da parte di un detenuto ai danni del personale di Polizia Penitenziaria. Verso le ore 12.00 un detenuto trentenne, P.A. originario di Sarno , al rientro dal colloquio ha aggredito con inaudita violenza gli agenti di Polizia Penitenziaria che lo accompagnavano. Il detenuto da qualche giorno era nel Reparto Separazione in quanto trovato in possesso di hashish occultato nelle parti intime e per questo anche rimosso dal lavoro. Due poliziotti colpiti di sorpresa dall’energumeno hanno fatto ricorso alle cure dei sanitari presso l’Ospedale civile, uno in particolare ha subito serie lesioni al volto e risulta essere ancora ricoverato. Ci risulta che lo stesso Comandante del Reparto, accorso tempestivamente sul posto, sia stato colpito dal detenuto in escandescenze. Il Personale dei Polizia intervenuto ha faticato non poco ad isolare il detenuto. L’uomo responsabile dell’aggressione non è nuovo a porre in essere comportamenti di destabilizzazione della regolare vita quotidiana dell’Istituto Penitenziario, nonostante il suo breve stato di detenzione. In precedenza, difatti, si è reso protagonista di numerosi eventi critici, appiccando fuochi e danneggiando celle della sezione a regime chiuso ove è ristretto in isolamento disciplinare, oltre che a garanzia della propria incolumità personale. Ai colleghi feriti e contusi va la nostra solidarietà. Il Personale di Polizia Penitenziaria è stanco di subire quotidianamente minacce e aggressioni ed operare in situazioni di carenza di organico e sovraffollamento”.Ancora più forte la denuncia del Segretario Generale Sappe, Donato Capece : “Il sistema delle carceri non regge più, è farraginoso. E’ vero quel che ha detto durante la consueta conferenza stampa di fine anno il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, ossia che avere un sistema carcerario più moderno e più umano aiuta la sicurezza. Ma oggi la realtà in Italia non è affatto così. Oggi, nelle 190 prigioni del Paese, sono presenti oltre 57.600 detenuti, quasi 20mila dei quali sono gli stranieri, ossia ben oltre la capienza regolamentare, e gli eventi critici tra le sbarre (atti di autolesionismo, risse, colluttazioni, ferimenti, tentati suicidi, aggressioni ai poliziotti penitenziari) si verificano quotidianamente con una spaventosa ciclicità. E da tempo il Sappe denuncia, inascoltato, che la sicurezza interna delle carceri è stata annientata da provvedimenti scellerati come la vigilanza dinamica e il regime aperto, l’aver tolto le sentinelle della Polizia Penitenziaria di sorveglianza dalle mura di cinta delle carceri, la mancanza di personale – visto che le nuove assunzioni non compensano il personale che va in pensione e che è dispensato dal servizio per infermità -, il mancato finanziamento per i servizi anti intrusione e anti scavalcamento. La realtà è che sono state smantellate le politiche di sicurezza delle carceri preferendo una vigilanza dinamica e il regime penitenziario aperto, con detenuti fuori dalle celle per almeno 8 ore al giorno con controlli sporadici e occasionali, con detenuti di 25 anni che incomprensibilmente continuano a stare ristretti in carceri minorili. Mancano Agenti di Polizia Penitenziaria e se non accadono più tragedie più tragedie di quel che già avvengono è solamente grazie agli eroici poliziotti penitenziari, a cui va il nostro ringraziamento. Ed allora si comprenderà perché da tempo il Sappe dice che nelle carceri c’è ancora tanto da fare: ma senza abbassare l’asticella della sicurezza e della vigilanza, senza le quali ogni attività trattamentale è fine a se stessa e, dunque, non organica a realizzare un percorso di vera rieducazione del reo”.
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