Calcio in lutto: se n’e’ andato un altro degli ‘angeli dalla faccia sporca’. Antonio Valentin Angelillo era salito agli onori delle cronache del calcio appena ventenne, quando insieme ad Omar Sivori e Humberto Maschio aveva formato il trio delle meraviglie della nazionale argentina che nel 1957 in Peru’ aveva conquistato il Sudamericano incantando e vincendo tutte le partite. Cosi’ del suo talento di mezzala trasformata in centravanti (per questo una volta, anni fa, si era paragonato a Francesco Totti) si erano accorti in molti e l’Inter era stata la piu’ veloce ad accaparrarselo, e la sua carriera era continuata in Italia, il paese dove poi aveva scelto di vivere (ad Arezzo) anche una volta smesso di giocare. La sua avventura in nerazzurro, cominciata arricchita da tanti gol e dal primato di segnature in un campionato di serie A a 18 squadre, con 33 centri nel torneo 1958-’59, era durata quattro anni. Infatti all’Inter, dov’era arrivato con baffetti e capelli pieni di brillantina, era diventato l’idolo dei tifosi, ma un giorno si era preso una cotta per una ballerina da night, Attilia Tironi, in arte Ilya Lopez, che lo aveva fatto ‘sbandare’. Helenio Herrera, al quale certe cose non piacevano, aveva sfruttato l’occasione per chiederne e ottenere la cessione alla Roma (in giallorosso vinse la Coppa delle Fiere), con tanto di clausola segreta che ne impediva il trasferimento a Milan e Juventus.
In rossonero Angelillo approdo’ successivamente ma con poca fortuna, avendo ormai dato il meglio e perche’ i tifosi rossoneri lo fischiavano per via dei suoi trascorsi con i cugini. Nativo della Boca, quartiere di Buenos Aires ad alta densita’ di immigrati italiani, la sua famiglia aveva origini lucane e suo padre faceva il macellaio. Per questo raccontava che in casa aveva sempre mangiato bene, ma anche che al filetto aveva ben presto preferito il pallone. Aveva imparato il calcio giocandolo per strada, come si usava a quei tempi, e che fosse un talento di grandi capacita’ di realizzatore si erano ben presto accorti il Racing prima e il Boca Juniors poi. Non a caso, ad appena 16 anni, aveva convinto tecnici e dirigenti del calcio ‘albiceleste’ di aver scoperto un grande talento con cui cercare di ovviare alla fuga in Colombia del grande Alfredo Di Stefano. Tutto si era poi trasformato nella favola degli ‘angeli dalla faccia sporca’ e anche Sivori e Maschio erano finiti in serie A e nella nazionale italiana, grazie al fatto di essere tutti e tre oriundi. Nel caso di Angelillo le presenze con l’Italia erano state comunque soltanto due, dopo le 11 con altrettante reti nell’Argentina, con cui non aveva piu’ giocato da quando aveva appena 23 anni.
“La Roma non aveva peso politico”, aveva detto tanti anni dopo per spiegare la mancata convocazione azzurra per i Mondiali del 1962 in Cile. E a proposito di Coppa Rimet, gli era sempre rimasto un rimpianto: nel 1958 lui, Sivori e Maschio non erano stati chiamati dall’Argentina perche’ a quei tempi chi andava all’estero non poteva giocare in quella nazionale. Cosi’ l’Argentina in Svezia era stata subito eliminata, ma Angelillo era convinto che con lui e gli altri ‘angeli’ in campo il mito di Pele’ sarebbe nato qualche anno dopo.
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