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“Il delitto di tortura in Italia c’è, ma la fattispecie è ben lontana da quella prevista dalle convenzioni internazionali firmate dall’Italia da oltre 30 anni”. E’ quanto afferma in una nota l’Ucpi, Unione delle camere penali italiane, commentando la richiesta del Comitato Onu e ricordando la sua “denuncia durante l’iter parlamentare e immediatamente dopo l’entrata in vigore della legge”, continuando a “manifestare disapprovazione per quanto legiferato”. L’Ucpi aveva segnalato che “il testo qualifica il reato come ‘comune’ e non come ‘proprio’, slegandolo quindi dall’operato dei pubblici ufficiali; era stato cancellato, nel corso dell’iter parlamentare, il termine ‘reiterate’ sostituito con ‘più condotte’; il reato non sussiste ‘nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti’ dove la parola ‘sofferenze’ unitamente a ‘legittime misure’ appare palesemente in contrasto; la fattispecie di reato così come descritta è di difficile applicazione, poiché le condizioni poste per la punibilità sono di complessa se non impossibile verifica”.
L’Unione Camere Penali si rivolge “ancora una volta al Governo perché emani immediatamente i decreti sulla riforma dell’ordinamento penitenziario: un’urgenza ancora più necessaria dopo le raccomandazioni dell’Onu. Per la modifica del delitto di tortura, continueremo le nostre battaglie, nella consapevolezza di portare avanti una lotta giusta, per evitare che l’Italia non sia continuamente censurata sul mancato rispetto dei diritti umani”. Il dissenso sarà manifestato l’11 dicembre in tutte le Camere Penali e con la marcia di Napoli fino al carcere di Poggioreale, per protestare contro “l’inefficienza del Tribunale di Sorveglianza, il trattamento disumano e degradante dei detenuti, il sovraffollamento delle carceri e l’uso eccessivo della custodia cautelare”.
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