Torna Ferzan Ozpetek! E torna con un film girato in Italia dal titolo “Napoli velata”. A un anno esatto dall’uscita di “Rosso Instambul”, la nuova pellicola sarà dal 28 dicembre in trecentocinquanta sale.
Un cast numeroso e che vanta nomi come quello di Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Anna Bonaiuto, Peppe Barra, Maria Pia Calzone, Luisa Ranieri, Biagio Forestieri, Lina Sastri e Isabella Ferrari. Si tratta, come scrive il regista nelle sue note, di “un mistery che sfocia nel thriller dei sentimenti”, che “sfiora molti elementi del melodramma, del noir”. La Napoli descritta da Ozpetek è lontana da quella dell’iconografia classica, ricca di mistero, di fascino nascosto, con i suoi riti pagani, i fantasmi, la morte, dove ci sono anche sesso, sangue e musica (magnifica l’interpretazione di Arisa di Vasame di Enzo Gragagniello). Poi ci sono tante donne protagoniste perché, spiega Ozpetek, “Napoli e’ femmina”. Donne che il cineasta turco, innamoratosi di Napoli sei anni fa quando ha curato la regia de La Traviata al San Carlo, ha scelto e stravolto con sapienza. “Ho giocato molto con i loro capelli, le ho cambiate al punto che Lina Sastri e Isabella Ferrari sono quasi irriconoscibili al primo colpo d’occhio”.
Il film racconta di un amore e di un omicidio, in cui non tutto è come appare e le persone nascondono o così qualcosa. “Napoli velata” inizia come un thriller in piena regola, quasi citando Hitchcock a partire alla scala ripresa con ossessione perché, spiega il regista, “è un elemento importantissimo di Napoli: richiama l’occhio, l’utero, la coscienza”. Il seguito però segue percorsi diversi e inaspettati, spiazzando continuamente e arrivando a una conclusione che lascia aperti molti interrogativi. Un atto d’amore per la città partenopea, come spiega Peppe Barra: “Con uno sguardo d’amore Ferzan ha accarezzato e amato la città che in questi tempi è così bistrattata e grazie a lui anch’io sono entrato nell’utero di Napoli, nell’utero velato”.
“Quando ho visto per la prima volta la “figliata”, racconta il regista – un rito arcaico legato profondamente alla cultura napoletana dei “femminielli” e che mette in scena un parto maschile, c’era un personaggio che metteva un velo e diceva che dovete vedere ma, più ancora, dovete sentire per capire questa città. Poi, ovviamente, c’è anche il Cristo velato che è coperto e, comunque, si vede tutto – aggiunge -. E anche quando sono andato alla “farmacia degli incurabili” c’era un velo e, vicino, una scala che scendevano quanti andavano a morire”. Ed è proprio il senso della morte ad essere così fortemente presente nel film. “Anni fa, quando avevo diciannove anni, Elio Petri mi disse che tutto ciò che facciamo nella vita è per allontanare l’idea della morte – spiega -. A Napoli ci giocano, la fanno diventare una cosa quotidiana, non da avere paure. E così la morte lì perde il suo senso. Questa città assomiglia a me – aggiunge – e si può dire quasi che Napoli mi ha tenuto lo specchio, per questo è stato facile girare qui”.
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