La Dda di Napoli è pronta a chiedere il processo immediato per Gaetano Formicola,’o chiatto, figlio del boss Antonio e suo cugino Giovanni Tabasco “Birillino” accusati di essere gli autori della macabra uccisione del 18 enne Vincenzino Amendola. ma anche per Raffaele Morra, il proprietario del terreno che ha fatto da tomba al 18enne e che dopo il delitto aveva ricoperto di mattoni per creare una stalla per porci e cavalli. Il ragazzo era stato ucciso il 5 febbraio del 2016 e il suo corpo fu trovato il 26 febbraio sotterrato in una zona di campagna di san Giovanni a Teduccio. La sua unica colpa fu di essersi vantato in giro di avere una relazione con la mamma di Gaetano Formicola. Ieri la Cassazione ha chiuso definitivamente la prima fase dell’indagine dichiarando corretto l’arresto bis dei due avvenuto il 21 giugno scorso dopo che i primi erano stati annullati.
Decisive in questo caso nuove intercettazioni che la Procura aveva portato a sostegno dell’arresto bis già passato al Riesame nei mesi scorsi: “La nonna mi ha detto che non lo trovano più”. Questa e’ una delle frasi intercettate che incastrano i due ragazzi e poi il loro complice Morra. Secondo il gip Mario Morra che aveva firmato nel giugno scorso l’ordinanza bis, la giovane vittima aveva una relazione con la moglie di Antonio Formicola, padre di Gaetano, boss del quartiere. Rapporto che si desume da una serie di telefonate e testimonianze raccolte anche dopo la prima indagine che il 22 marzo aveva portato all’arresto del figlio del boss e del suo complice, poi scarcerati dal Tribunale del Riesame per mancanza di riscontri oggettivi alle dichiarazioni del testimone oculare e pentito Gaetano Nunziata. “Il quartiere così dice ma hanno capito una cosa per un’altra”, diceva il figlio alla mamma, riferendosi alla relazione. Poi ci fu un summit, a casa della nonna del ragazzo, madre del papa’, donna con un cognome ‘pesante’ nel panorama criminale.
“Fu li’ che fu deciso come doveva morire Vincenzo e per mano di chi”, scrive il magistrato. La sequenza dell’orrore porta direttamente “alle panchine del Bronx a Ponticelli”, quartiere dove era solito stare Vincenzo che fu trovato dai suoi killer la notte del 4 febbraio, portato nella fossa scavata a San Giovanni e li’ ucciso. La ricostruzione del movente, della dinamica delle responsabilità per questa esecuzione e’ stata resa possibile non solo dalle dichiarazioni del pentito che ha partecipato all’omicidio e che ha permesso di ritrovare il cadavere e l’arma utilizzata, gettata una scogliera, ma anche da intercettazioni. Il gip di Napoli aveva gia’ emesso a marzo dello scorso anno la prima misura cautelare fondata su elementi quali la denuncia della scomparsa, i tabulati dell’utenza telefonica del ragazzo, alcune intercettazioni e due interrogatori resi dal pentito. Formicola e Tabasco, dopo un periodo di latitanza erano stati arrestati a Viterbo dove si erano rifugiati. Allora, l’ordinanza era stata annullata dal Tribunale del Riesame che, pur non mettendo in discussione l’attendibilita’ del collaboratore di giustizia, aveva ritenuto che le intercettazioni, in parte non trascritte integralmente nella misura cautelare, non erano univocamente interpretabili e quindi non fornivano riscontri utili alle dichiarazioni del pentito. Le indagini cosi’ sono state approfondite, accertando anche il coinvolgimento nei fatti del proprietario del fondo in cui il corpo di Amendola e’ stato trovato, Raffaele Morra, oggi arrestato, il quale avrebbe avuto un ruolo anche del seppellimento del cadavere. Altri riscontri vengono dalle attività tecniche della polizia sul luogo del delitto e sull’ arma per commetterlo, nonche’ da informazioni assunti dai parenti della vittima e da persone che erano presenti nel momento e nel posto in cui Vincenzo Amendola fu prelevato dai suoi sicari per essere condotto al luogo dell’omicidio.
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