Acerra. Una cattedrale gremita di persone, istituzioni ma anche tanta gente comune che con Don Riboldi ha condiviso un pezzo di vita. Si sono celebrati oggi pomeriggio nel Duomo di Acerra i funerali del padre rosminiano che per hanno ha guidato la diocesi napoletana. Nel giorno in cui, la camorra ha rialzato la testa in segno di sfida con una bomba esplosa nella notte nei pressi di un’impresa di pompe funebri, a due passi da dove giaceva la bara del Vescovo anticamorra, si è levato alto l’appello a continuare nel segno di Don Riboldi. “Il nostro don Antonio è stato un profeta, ha dato speranza al suo popolo, ha insegnato ai ‘senzatutto’ ad alzare la testa grazie al Vangelo e alla denuncia profetica”. Ha detto il vescovo di Acerra, Antonio Di Donna, durante l’omelia funebre per il suo predecessore Antonio Riboldi, vescovo emerito della città morto a Stresa nei giorni scorsi, che sarà tumulato nella cattedrale cittadina come da suo desiderio. Di Donna ha ricordato l’impegno di Don Riboldi per i terremotati della valle del Belice, e quello anticamorra ad Acerra. “Fino all’arrivo di Don Riboldi di camorra si parlava sottovoce – ha aggiunto il presule – lui si è esposto, l’ha fatto con la camorra, con le Br insieme al cardinale Martini, l’ha fatto per l’ambiente quando la camorra iniziava ad interrare ad Acerra i rifiuti tossici e forse questo è stato il suo più grande rammarico, perchè non ha capito in tempo cosa stava succedendo. E’ stato un grande sognatore, che desiderava la realizzazione del polo pediatrico in citta'”. Il vescovo ha anche sottolineato che Don Riboldi “è stato un grande costruttore di chiesa anche se passava solo come vescovo anticamorra”, affermando anche che il pastore emerito della diocesi “qualche volta è stato imprudente o ingenuo, come quando annunciò che un centinaio di camorristi erano pronti a pentirsi, ma non successe”. Di Donna, infine, annunciando la celebrazione del 40esimo anniversario della proclamazione a vescovo ad Acerra di Don Riboldi, ha invitato gli acerrani a “conservare il dono ricevuto da don Antonio”. “Non disperdiamo la sua eredità- ha concluso – non lasciamoci rubare la speranza”.
E proprio oggi, il sindaco di Ottaviano Luca Capasso, al termine dei solenni funerali di Don Riboldi ha annunciato che un’ala del castello mediceo di Ottaviano, bene confiscato al boss della camorra Raffaele Cutolo, sarà intitolata a don Antonio Riboldi, vescovo emerito di Acerra che nel 1982 sfidò il capo indiscusso della nco organizzando proprio ad Ottaviano una marcia anticamorra. “Don Riboldi arrivò ad Ottaviano in tempi difficili per la nostra città – ha spiegato Capasso – il popolo non era libero, e lui marciò per le strade della città anche per quei tanti morti ammazzati dalla camorra, come i consiglieri comunali Mimmo Beneventano e Pasquale Cappuccio, che non si erano piegati alla criminalità. La scorsa settimana abbiamo inaugurato il primo piano del castello mediceo, dimostrando che lo stato vince sulla camorra, ed un’ala dello stesso sarà intitolata a Don Riboldi”. Ad Acerra, invece, il sindaco Raffaele Lettieri ha annunciato che intitolerà a Don Riboldi l’ex palazzo del fascio, che si trova di fronte al duomo. “La nostra amministrazione continuerà ad agire nel solco tracciato da Don Riboldi – ha detto Lettieri – l’ex palazzo del fascio, acquisito a patrimonio comunale, sarà dedicato a lui, e per una parte diverrà sede della rete della legalità, proprio vicino a dove sarà sepolto Don Riboldi”. Alla cerimonia funebre, concelebrata da vescovi provenienti da varie zone della Campania e d’Italia, hanno assistito, tra gli altri, l’ex governatore della Regione Campania, Antonio Bassolino, il presidente regionale della commissione antimafia Carmine Mocerino, l’amministrazione comunale di Santa Ninfa della valle del Belice, il vescovo emerito di Ivrea, monsignor Bettazzi, 94 anni, giunto in treno per rendere omaggio ad “un amico”. “Da lui ho imparato tanto – ha detto – soprattutto che noi siamo l’uno per l’altro e che per arrivare alla pace bisogna mantenere la giustizia”.
”Don Riboldi per noi è stato un mito, un Vangelo vivente”. Don Antonio Coluccia, prete del Salento, più volte minacciato di morte dalla camorra e oggi sotto scorta, era tra i banchi della cattedrale di Acerra, insieme a don Luigi Merola, altro prete anticamorra per anni sotto scorta, per dare l’estremo saluto a monsignor Antonio Riboldi, vescovo emerito della cittadina partenopea, che come loro si era schierato, nei lontani anni ’80, contro la camorra e la criminalità. Tre vite differenti, tre storie che hanno in comune la ‘denuncia’ pubblica, quella fatta con le marce anticamorra e la vita spesa a cercare la conversione dei camorristi come don Riboldi, oppure a schierarsi apertamente contro il clan che aveva ucciso una quattordicenne a Forcella, come don Merola, o per aver trasformato la villa di un boss della banda della Magliana, in un centro di accoglienza per i bisognosi, come don Coluccia. E don Merola e don Coluccia erano lì, nascosti tra la folla, per salutare il loro ‘mito’, don Riboldi. Ma guai a chiamarli ”preti coraggio”. ”Siamo preti e basta – ha tuonato don Coluccia – bisogna essere preti con gli attributi che sappiano dire e predicare nel nome del Vangelo e della verità come ha fatto don Riboldi. Essere Chiesa che parla di Gesù e che si sporca le mani, così come ha fatto Cristo”. ”I cosiddetti preti di trincea si possono contare – ha sottolineato invece don Merola – anche don Riboldi era stato lasciato solo. Mi auguro che il messaggio lanciato oggi dal vescovo Antonio Di Donna, sia recepito da tutti i preti, e che si passi dalla Chiesa del tempio alla Chiesa di strada, lavorando anche per le conversioni, perchè molti collaboratori di giustizia collaborano, ma non si sono convertiti alla parola di Cristo, non si sono pentiti del male. La squadra vince se è squadra. Il mio giorno di vittoria l’ho avuto quando ho celebrato i 10 anni della mia fondazione ”a voce ‘re creature’: con me c’era il vescovo, e per me è stata una vittoria”.
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