Il Tribunale del Riesame di Napoli ha concesso gli arresti domiciliari a Concetta Aprea, nuora della donna boss Immacolata Iattarelli, reggente del clan Troia di San Giorgio a Cremano arrestate il mese scorso insieme con un’altra quartina tra familiari e affiliati con l’accusa di associazione camorristica, traffico di droga, estorsione e altro nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Napoli. Per la Aprea, difesa dall’avvocato Leopoldo Perone è venuta meno la grave accusa di associazione camorristica. Secondo le accuse la donna, moglie di Francesco Troia, e figlia di uno dei boss di Barra, Ciro Aprea, manteneva la gestione della cassa del clan e si occupava della distribuzione delle “mesate” agli affiliati. Significativo un colloquio intercettato in carcere in data 21 maggio 2016 con il marito Troia Francesco dal quale emergono i forti dissidi con la suocera donna Imma a causa della gestione da parte di quest’ultima del clan, dei soldi e del mantenimento dei carcerati.
In particolare, Concetta Aprea si lamenta con il marito del fatto che la Iattarelli “si sta prendendo i soldi loro” ovvero quelli di Francesco e Vincenzo in relazione alle attività illecite del clan. Infatti la donna chiede al marito l’autorizzazione a prendere direttamente lei i soldi da Cosimo Di Domenico, (un loro cugino e gestore di una delle piazze di spaccio del clan)per evitare che la Iattarelli li trattenga e non corrisponda la quota a loro spettante. La donna, ricevuto l’assenso del marito, chiede se possa andare direttamente lei anche”dall’altro”, altra persona che, evidentemente, corrisponde somme di denaro al clan come Di Domenico. Dal colloquio risulta anche che, per volere della Iattarelli, che continua ad essere unico referente del clan stante la detenzione dei figli, Aprea Concetta non ha più il suo autista individuato nel “cinese” che l’avrebbe dovuta accompagnare al colloquio con il marito. Tale circostanza viene ribadita quando Aprea Concetta rappresenta al marito che la Iattarelli non sta mandando con regolarità i soldi ai carcerati e non si preoccupa del mantenimento delle loro famiglie: “però quello che non sopporto è quando incomincia a far mancare le cose ai carcerati… non mi ha domandato del mangiare, se io non telefonavo per i soldi alla porta io facevo rivoltare, quella neanche i soldi per la porta aveva mandato… una macchina, non ti sei degnata neanche ieri sera a qualcuno di dire qua ci sono le chiavi della macchina” cioè, hai capito?”.
Nel corso del colloquio, inoltre, la donna racconta al marito di alcune discussioni avvenute nell’ambito della famiglia Aprea e del fatto che lei ha ribadito ai suoi parenti il “valore” di suo padre: “I cento morti accusati ce li ha Ciruzzo punta di coltello e se siete qualcuno, dovete ringraziare Ciruzzo punta di coltello perché il resto non valete niente, valete zero.”
Secondo il gip Giuliana Pollio che il mese scorso ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare: “Tali conversazioni, documentano il ruolo attivo della donna che riceve dal marito detenuto le disposizioni da riferire agli altri sodali e, ali ‘inverso, informa il coniuge di quanto accade all’esterno e gli comunica i messaggi che i vari chiedono di recapitare. La donna è pienamente consapevole delle logiche criminali in opera il marito, logiche condivise con sostegno morale e fisico, con impegno costante a favore del gruppo”. Ma per i giudici del Riesame non è stato così visto che hanno concesso gli arresti domiciliari alla donna.
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