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”Caccia allo sbirro” sul web compare di nuovo la pagina degli antagonisti

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Oscurata qualche mese fa dalla Polizia postale, è stata ricreata la pagina web “Caccia allo sbirro” non indicizzata dai soliti motori di ricerca ma esistente nei “bassifondi” del web.
Il sito contiene minacce esplicite rivolte ai rappresentanti delle forze dell’ordine con una specie di schedario che si propone di individuare, identificare e rintracciare uomini e donne in divisa per “mettere alla gogna gli agenti che imperversano contro le masse popolari”.
Rispetto al febbraio scorso – quando si riuscì ad oscurare la pagina web – oggi c’è un’altra novità:due poliziotti napoletani – il primo, ex dirigente della Questura di via Medina, e il secondo, un ispettore in servizio alla Digos di Napoli – vengono indicati come “schiavi del regime”, entrambi indicati ed associati, nel delirante messaggio postato, come “infiltrati, spie, collaboratori del regime non conosciuti alle masse popolari”.

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Tra gli “sbirri che difendono i fasci”, come riporta Il Mattino, adesso compare anche il nome dell’ex dirigente della Digos di Napoli, Antonio Sbordone, attualmente questore di Reggio Emilia. A lui viene dedicata una pagina web sulla quale compare una foto identificativa (peraltro sbagliata) all’interno della quale compaiono quattro campi vuoti che si chiede agli utenti di compilare. Ma non c’è soltanto Sbordone. Con tanto di foto pubblicata, che lo ritrae durante una manifestazione organizzata dai centri sociali a Napoli qualche anno fa, compare anche un altro noto poliziotto napoletano il quale ancora oggi è in servizio presso la Digos partenopea, e mentre per Sbordone vengono evidenziati i dati personali, per questo secondo poliziotto l’appello che compare sul deep web è chiarissimo: “Dati personali non disponibili. Se lo conosci compila il formulario qui sopra”.
Il portale è quindi uno schedario, un archivio da consultare per mettere all’indice poliziotti e carabinieri che controllano e di investigano sui movimenti politici e centri “antagonisti”, spesso finiti nel mirino della Digos e dei Ros dei carabinieri. Si legge: “La polizia politica basa la sua forza anche sul fatto che i suoi agenti, infiltrati, spie e collaboratori, non sono conosciuti alle masse popolari. Farli conoscere è un modo pratico per rendere il loro sporco lavoro se non impossibile, almeno difficile. Facciamo circolare le loro foto e i loro dati!”.
Ancora: “Denunciamo le azioni di controllo, intimidazione e l’infiltrazione degli sbirri e dei loro collaboratori nei partiti e nelle iniziative dei comunisti, degli antifascisti, degli antimperialisti e negli organismi delle masse popolari.

Cacciamo gli infiltrati, gli spioni e i collaboratori della polizia politica e delle agenzie private. Denuncia anche tu i servi del regime!”. E un esplicito invito alla violenza: “Rendiamo il loro lavoro sempre più difficile e sempre meno allettante per coloro che non sono ancora stati assoldati dalla borghesia imperialista”.
Il 28 febbraio era già scoppiato il caso: l’allarme era stato lanciato dal Ministero della Giustizia con una circolare indirizzata al personale della polizia penitenziaria con il chiaro invito a non pubblicare foto sui social, soprattutto se in divisa. Da domenica sulla riapertura del sito indaga la Digos affiancata dalla Polizia Postale. Una informativa è anche già stata trasmessa in Procura.

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