Flash mob, eventi caritatevoli, o semplicemente un atto gentile nei confronti di un collega, familiare, amico. Prepariamoci: domani è la Giornata mondiale della gentilezza, un’occasione per riflettere sulle buone maniere, per dedicare a qualcuno cura e attenzione.
Basta un piccolo gesto. La Giornata della gentilezza, nasce dall’iniziativa di diversi gruppi umanitari e dalla loro ‘Dichiarazione della gentilezza,’, risalente al 13 novembre 1997. Da allora, la data è stata scelta per celebrare a livello internazionale una giornata che incoraggi chiunque a fare la propria, personale dichiarazione di gentilezza,: regalando libri, cibo o vestiti agli altri membri della comunità.
La ricorrenza viene celebrata negli Stati Uniti, in Italia, Emirati Arabi, India, Singapore, Nigeria, Giappone, Australia e Canada. In ogni luogo, però, ad essere al centro dell’attenzione, osserva l’azienda Babbel che 10 anni fa lanciò la popolare app per imparare le lingue e che invita a festeggiare la gentilezza,, sono sempre i piccoli gesti, come aprire la porta a uno sconosciuto, aiutare un vicino, lasciare al partner il controllo del telecomando per una sera o pagare il caffè a un amico.
Tra abitudini, tradizioni e celebrazioni, ecco alcuni esempi di gentilezza, nel mondo, ricordati da Babbel. In Italia risale a un centinaio di anni fa la tradizione, tutta napoletana, de ‘o cafè suspiso. In cosa consiste? Ci si prende un caffè al bancone, poi si va alla cassa e se ne pagano due invece che uno. In questo modo, chi non può permetterselo può entrare al bar e chiedere se per caso ci sia un ‘caffè in sospeso’, disponibile e gratuito. Le due persone coinvolte non si incontrano mai, è vero, ma in qualche modo gustano un caffè assieme.
D’altronde, chi è di Napoli lo sa: ‘na tazzulella ‘e cafè è un piacere che unisce tutti, ricchi e poveri. Da qualche anno poi, con l’inizio della crisi, questa bella tradizione sembra essersi diffusa in tutta Italia, approdando addirittura nei bar di altri paesi europei. In Giappone la senbetsu è la tradizione nipponica di fare un regalo a qualcuno alla vigilia di un viaggio. Allo stesso modo, però, è anche un dono d’addio per chi se ne sta andando o sta cambiando lavoro.
Dietro questo gesto c’è la consapevolezza della difficoltà che ogni grosso cambiamento comporta. Un mazzo di fiori, quindi, ha il compito di addolcire il passaggio alla prossima tappa. Non è solo un atto di gentilezza,, ma anche un buon augurio per il futuro. In Israele la tradizione del Mishloach Manot (‘dare una porzione’) prevede che, in occasione di Purim, ogni persona di religione ebraica che abbia già celebrato il suo Bar o Bat Mitzvah doni almeno due diversi tipi di pietanze per la festa.
A finire nel cesto di Purim sono solitamente vino e dolci, specialmente i biscotti triangolari chiamati hamentashen. Grazie a questa mitvah (‘buona azione’) tutti hanno così abbastanza da mangiare in occasione della festa. Circa l’1% della popolazione del Myanmar è formata da monaci buddisti. La loro sopravvivenza dipende in gran parte dalle donazioni, siano queste in forma di cibo o denaro.
I monaci condividono poi il cibo ricevuto con i poveri, offrendo ciotole di riso al curry ai più bisognosi. Questo circolo del dare e ricevere è valso al Myanmar il titolo di ‘Nazione più caritatevole del mondo’, conferitogli dalla Caf (Charities Aid Foundation) ed è la dimostrazione che, nonostante l’elevato tasso di povertà che contraddistingue il paese, la generosità non ha a che fare solo con la ricchezza: è tutta una questione di buon cuore.
In Spagna le persone che ogni anno percorrono, in tutto o in parte, i circa 800 chilometri che formano il Cammino di Santiago compiono uno dei pellegrinaggi più popolari della tradizione cattolica. Lungo il tragitto, sono numerosissimi i gesti di gentilezza che vengono abitualmente destinati ai pellegrini: dai rifugi a basso costo o gratuiti; agli abbracci gratis, dati e ricevuti; fino all’offerta di acqua pulita. Bodegas Irache, un ex monastero lungo la strada, si spinge però ancora più in là, offrendo a camminatori e ciclisti del vino ”per fare un brindisi alla felicità”.
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