Brescia. Il dna sui leggins e sugli slip di Yara Gambirasio era di Massimo Bossetti, condannato al carcere a vita per l’omicidio della piccola ginnasta. Per i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Brescia non può essere svolta, come chiesto dalla difesa, una nuova perizia sul materiale genetico rinvenuto sui vestiti della 13enne trovata morta il 26 febbraio 2011 in un campo di Chignolo d’Isola (Bergamo). “Quello che è certo è che non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuove amplificazioni e tipizzazioni”, spiegano nelle motivazioni, depositate oggi, della sentenza con cui hanno condannato all’ergastolo il 17 luglio scorso il manovale 37enne per l’omicidio di Yara. “Si deve, quindi, ribadire ancora una volta e con chiarezza – proseguono i giudici – che una eventuale perizia, invocata a gran voce dalla difesa e dallo stesso imputato, non consentirebbe nuove amplificazioni e tipizzazioni, ma sarebbe un mero controllo tecnico sul materiale documentale e sull’operato dei Ris (e quindi la famosa perizia genetica sarebbe necessariamente limitata a una mera verifica documentale circa la correttezza dell’operato del Ris e dei consulenti dell’accusa, pubblica e privata)”. I legali di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, avevano chiesto nuovi accertamenti sul dna sostenendo che le analisi sarebbero state svolte nei laboratori del Ris di Parma con kit scaduti e i campioni sarebbero stati contaminati. La richiesta di una nuova perizia si era già scontrata con il ‘no’ della Cassazione. Questo non aveva fermato i due avvocati che avevano riproposto la richiesta anche davanti alla Corte d’Assise d’Appello, sottolineando l’assenza “del tutto innaturale” del dna mitocondriale nel campione prelevato dal corpo di Yara. Per i giudici, inoltre, “la doglianza della difesa circa la violazione del principio del contraddittorio”, relativa anche all’analisi del dna, è “del tutto infondata”.
Articolo pubblicato il giorno 16 Ottobre 2017 - 19:49