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Napoli, speronarono e poi travolsero con l’auto un 21enne: tutti condannati a 30 anni di carcere

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Trenta anni di carcere per i tre baby killer di Secondigliano che uccisero il 21enne Fabio Giannone il 10 aprile del 2016 prima investendolo e poi passando sopra il corpo con l’auto. Nel processo che si è celebrato con il rito abbreviato davanti al gup De Stefano (18esima sezione gip del Tribunale di Napoli) sono stati condannati Vincenzo De Luca, Pasquale Paolo e Simone Scaglione.

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I primi due avevano investito con un’ auto rapinata Giannone, che viaggiava in sella uno scooter, per vendicarsi di un pestaggio subito ad opera di Giannone e del fratello il 4 gennaio 2015, nel quale De Luca aveva riportato numerose fratture. Il pestaggio era stato causato dal danneggiamento delle vetrine di un negozio di abbigliamento di proprietà di uno zio dei fratelli Giannone, avvenuto nella notte del Capodanno 2015 da parte di De Luca. Il cadavere di Giannone fu trovato sotto una “Citroen C3”, abbandonata al centro della carreggiata con le porte aperte. Accanto vi era uno scooter “Honda SH” di proprietà di Giannone. Grazie alle immagini di alcune telecamere di videosorveglianza gli agenti della Squadra Mobile di Napoli e del Commissariato Secondigliano accertarono che Giannone fu investito volontariamente da De Luca. Il giovane, noto come ‘o dannato, che era evaso dagli arresti domiciliari, si era poi costituito la stessa notte dell’omicidio al Commissariato di Polizia di Giugliano. Pasquale Paolo, anch’egli ai domiciliari ma per droga, è il figlio di Raffaele detto “o’ Rochets”, detenuto e considerato in passato uno dei capipiazza dei Di Lauro, vicino in particolare al boss Paolo detto “Ciruzzo o’ milionario” per la zona di Secondigliano. Giannone infine, era il figlio di Ciro, ammazzato il 1 febbraio 2002 in un agguato di camorra: secondo gli investigatori proprio il clan lo decise perché avrebbe dato fastidio in qualche maniera, ma l’indagine si è conclusa senza l’individuazione dei responsabili, almeno finora. Un altro congiunto della vittima del finto incidente stradale è Claudio, suo zio, finito in manette per armi anni fa. Vincenzo De Luca è il principale accusato. Sarebbe lui l’ideatore dell’omicidio per vendicarsi del pestaggio avvenuto il 4 gennaio scorso, tre giorni dopo che la vetrina del negozio di abbigliamento dello zio di Giasone era andata in frantumi nel corso dei festeggiamenti per il nuovo anno. Il 21enne gli addebitava la responsabilità dell’accaduto e così era scattata la spedizione punitiva. “O’ dannato”, che non è ritenuto legato alla criminalità organizzata così come l’amico Pasquale Paolo, ha un tatuaggio che riporta il soprannome, che evidentemente gli piace molto e rispecchia il suo carattere: uno che non si arrende mai.

L’8 giugno scorso la svolta nelle indagini. Il pm ascoltando le intercettazioni tra i familiari di Vincenzo De Luca al carcere di Poggioreale dov’era detenuto decidono di eseguire un decreto di perquisizione. All’interno della cella sequestrano al ragazzo il giubbotto di colore blu scuro con il quale era entrato in galera il giorno che si è consegnato e le lettere che aveva ricevuto dai familiari. Nel coro del sequestro il ragazzo crolla e decide di rendere dichiarazioni spontanee. Dice di aver voluto dare una lezione a Giannone per motivi personali. La sera dell’omicidio aveva percorso più volte le vie del quartiere alla ricerca di Fabio. Di averlo visto affacciato al balcone e di essere stato istigato dallo stesso. Motivo per il quale lo aveva speronato con l’intento di procurargli lesioni. Però lo aveva travolto e non riuscendo a fermare il veicolo lo aveva ucciso, ma non voleva. Tre giorni dopo un nuovo interrogatorio, questa volta davanti al pm, ma con delle correzioni. Secondo l’accusa perché indottrinato dal padre.

De Luca Vincenzo: «Eh, mi sono accusato del reato. Ed si. Si. Cosa. Hanno detto, noi sappiamo che sei stato minacciato».

De Luca Raffaele: «Eh, ti sei fatto. Ti sei messo a piangere? Cose».

Vincenzo: «Come».

Raffaele: «Che non lo volevi fare apposta?».

Vincenzo: «Come. Che io non lo volevo fare apposta. Ha detto: noi lo sappiamo che è una famiglia di infami, che ti hanno fatto male, hai fatto un sacco di ricoveri. E poi è così, è così, è così, è così. Chi ci stava con te? Io stavo solo io, stavo solo io nella macchina, l’ho visto arrivare al lato sinistro e l’ho…».

Raffaele: «…incomprensibile…».

Vincenzo: «No, di lato! Ho detto, io l’ho solo tamponato. L’ho solo tamponato però non sono riuscito a prendere il controllo della macchina e l’ho fatto, non lo so se, gli sono passato per dosso. Non so nulla. Hanno detto, noi questo lo sappiamo che è stato un omicidio volontario e poi mi ha dato le carte, 575 e 577».

Raffaele: «Che?».

Vincenzo: «Omicidio aggravato».

Raffaele: «Aggravato?».

Vincenzo: «Poi cala la pena, hai capito?».

Raffaele: «Si sapeva».

Vincenzo: «Ah!».

Raffaele: «Si sapeva».

Vincenzo: «Erano tre di loro vennero, c’era l’ispettore quello con gli occhiali».

Raffaele: «Quello con il mellone? Quello quella quarta sezione di Secondigliano».

Vincenzo: «Eh. Ispettò io tengo 21 anni. Senza che perdiamo tempo, ho detto io. Sono stato io. E lui mi fa: “De Lù la mia parola contro la tua”. Io ti aiuto però l’indagine non la chiudo».

Raffaele: «Hai detto che la strada era a senso unico?».

Vincenzo: «No».

Raffaele: «Non stava a senso unico sto ragazzo?».

Vincenzo: «No».

Raffaele: «Non stava a senso unico?».

Vincenzo: «No».

Raffaele: «Da dietro?».

Vincenzo: «Di lato».

Raffaele: «Le telecamere non pigliavano bene, le telecamere non si pigliavano bene».

Vincenzo: «Però mi ha riconosciuto la coscia».

(da sinistra nella foto  Vincenzo De Luca, Pasquale Paolo e la vittima Fabio Giannone)

 


Articolo pubblicato il giorno 2 Ottobre 2017 - 13:26

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