La zona “castello” nei pressi dello “scoglione” di Posillipo, diventa lo scorso maggio il set naturale di una vicenda orrenda che è stata ricostruita dai carabinieri della compagnia di Bagnoli e che vede al momento tre indagati finire in tre comunità diverse con l’accusa di violenza sessuale. Si tratta di A.P., E.A., R.R., tutti minorenni e ritenuti responsabili di aver attirato una ragazzina – all’epoca non ancora quindicenne – in una trappola, costringendola a subire ripetute violenze. Sono stati portati lontano dal contesto familiare che si è dimostrato incapace di inculcare nelle loro vite le regole più elementari di educazione e rispetto per il prossimo: questo il ragionamento del gip Angela Draetta che ha fermato tre dei cinque ragazzi coinvolti nella violenza sessuale ai danni della ragazzina. Una svolta investigativa dettata dall’incidente probatorio che si è celebrato dinanzi ai pm e ai giudici del Tribunale dei Minori, nel corso del quale la ragazzina ha avuto la forza di ripetere la testimonianza resa nelle primissime fasi di indagine e il coraggio di riconoscere i tre esponenti del branco che l’avevano assalita. Agli atti finiscono inoltre anche altri due minori, discendenti di clan storicamente radicati in zona Vasto Arenaccia, che erano sul posto e hanno fatto da vedetta. Erano li a controllare che non entrasse nessuno nella zona della “fenestrella” di Marechiaro mentre si consumava la violenza di gruppo contro la ragazzina. E’ stata la stessa vittima confermare la loro presenza spiegando il loro ruolo. Ma anche una coraggiosa amica della vittima dello stupro che era andata a cercarla preoccupata dalla sua assenza e cacciata via in malo modo dai due figli dei boss del Vasto. Loro sono solo indagati. Difesi dal penalista Matteo De Luca, ora i tre minori sono finiti in una comunità di recupero. Scrivono gli inquirenti, per sgomberare il campo da ogni possibile ambiguità sul comportamento della ragazzina: impossibile qualsiasi malinteso, perché con nessuno degli aggressori c’era un rapporto pregresso, fosse anche solo da un punto di vista virtuale. Ed è ancora il giudice a sottolineare la incapacità di una ragazzina (per altro più piccola di due anni rispetto ai propri aggressori) di porre un argine alla violenza del branco. Annichilita, disorientata – è la ricostruzione – appare normale che abbia detto ai suoi aguzzini di “fare ciò che volevano” a violenza avviata, purché la lasciassero andare. Non ci possono essere dubbi – insiste – sull’atto di violenza, anche alla luce di una differenza evidente: il branco ha infatti interrotto un flirt tra due ragazzini, all’insegna del consenso prestato dalla quindicenne al suo fidanzatino, un flirt sano, all’insegna della reciprocità, che non avrebbe mai potuto spingere quelli del branco a confidare nella disponibilità sessuale di una ragazzina che non aveva compiuto ancora quindici anni.
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