Cittadino onorario di Napoli dal dicembre 2016, Mohamed Ould M’Kheitir, si trova ancora oggi in un carcere della Mauritania.
La Corte suprema del suo Paese l’ha condannato a morte tre anni fa per alcuni articoli e studi in cui analizza perché schiavitù e divisione in caste, alimentate dall’Islam, continuano a essere un’arma del potere in Mauritania. In quello Stato non democratico del Sahara occidentale vige la Sharia e gli Harati, la casta al gradino più basso della società, sono vittime ancora oggi di schiavitù e forti discriminazioni.
Mohamed ha scritto gran parte di quegli articoli insieme al suo miglior amico, Nagi Ceikh Ahmed, un giornalista mauritano laureato in Economia scappato dal suo Paese nel 2016, dopo aver ricevuto continue minacce di morte. Ora è ospite di un Centro di Accoglienza Straordinaria in provincia di Napoli.
“Per il Consiglio islamico chi contesta la figura del profeta o professa ateismo deve essere ammazzato”, racconta. Per il codice penale mauritano, infatti, “chiunque sia colpevole di Zendagha (un reato simile all’apostasia) sarà punito con la morte, salvo preventivo pentimento”, recita l’articolo 306. E Nagi, in uno stato in cui vige la Sharia, aveva scelto andare contro lo status quo nonostante la sua mia famiglia appartenga alla casta Zawaya, una delle più potenti in Mauritania.
“All’università ho iniziato a frequentare assemblee di organizzazioni di sinistra e dieci anni fa ho messo in discussione tutto quello in cui credevo fortemente. In Libano ho potuto acquistare libri su Darwin, sul marxismo, libri che in Mauritania sono messi al bando” – racconta.
Nagi voleva condividere quei libri e ha deciso di studiarli con il suo amico Mohamed. Insieme hanno messo su quel blog ma lui usava uno pseudonimo. Ha continuato a condividere i loro articoli anche quando l’amico è stato condannato a morte.
In Mauritania “lo spazio per l’esercizio dei diritti alla libertà d’espressione – scrive Amnesty International in un report sui diritti umani del Paese nel 2017 – si è ridotto nel momento in cui giornalisti e difensori dei diritti umani sono stati arrestati e perseguiti da una magistratura politicizzata”.
Lo pseudonimo di Nagi è stato coperto dall’anonimato per troppo poco tempo “la stampa vicina al governo – racconta – ha denunciato i legami tra me e Mohamed. Ho ricevuto minacce di morte continue”. Ora neanche Nagi può rientrare nel suo Paese, anche lui rischia di essere condannato a morte per apostasia e ha paura che qualche fanatico possa ucciderlo.
“Io non ho deciso di lasciare la Mauritania ma sono stato costretto a prendere una decisione: sono fuggito ed entrato in Senegal”. Da clandestino ha preso contatti con Amnesty International, l’Ong che tuttora si batte per salvare la vita di Mohamed Ould M’Kheitir e liberarlo dalla sua prigionia nelle carceri mauritane.
“Il Comune di Napoli – spiega Nagi – mi ha invitato a partecipare a un evento sui diritti umani, per salvare Mohamed. Il 20 dicembre 2016 ho preso un aereo per Roma dal Senegal e una volta arrivato a Napoli ho chiesto asilo politico in Italia”. Si e’ ritrovato a fare il bracciante in un campo agricolo: “Si lavora dalle 6 del mattino fino alle 6 o alle 8 di sera. Le condizioni sono molto, molto, molto dure e la paga va dai 15 ai 20 euro al giorno. Il meccanismo con cui si recluta la forza lavoro è semplice: un uomo arriva con la sua auto nei pressi delle rotonde degli stradoni di provincia che spesso si trovano vicino ai Cas. Li’, ogni giorno all’alba – racconta Nagi -, viene caricata in auto una massa di rifugiati che aspetta solo che il tramonto arrivi il più presto possibile”.
Articolo pubblicato il giorno 19 Ottobre 2017 - 16:41