Nocera Inferiore. Un debito di droga non saldato tra i due e la ritorsione: i giudici della Corte d’Assise d’Appello non hanno dubbi sulle responsabilità di Francesco Paolo Ferraro, il 26enne nocerino, condannato a 18 anni di reclusione per l’omicidio di Dario Ferrara. Le motivazioni depositate dal collegio presieduto da Claudio Tringali, ribadiscono le circostanze già emerse in primo grado, per l’aggressione avvenuta il 25 aprile del 2015 che tre giorni dopo causò la morte del 21enne ultrà della Nocerina. I togati sottolineano nelle motivazione della sentenza emessa a luglio scorso, lo ‘scorretto’ comportamento processuale dell’imputato che ha ‘rivelato dettagli falsi finalizzati a confondere le acque e a far deragliare la ricerca della verità’. Secondo i giudici, la ricostruzione di Ferraro è artefatta. Non ci fu alcuna colluttazione, contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato che ha sempre sostenuto di essere caduto addotto a Dario Ferrara dopo essersi avvinghiati. ‘Non ci fu nessuna colluttazione’ perchè le ferite riportate dalla vittima non erano compatibili con una caduta accidentale e nel punto in cui la vittima cadde ‘non c’è alcun dosso o avvallamento che abbia potuto causare quel tipo di ferite’. E poi, secondo la ricostruzione degli inquirenti, Francesco Paolo Ferraro aveva già aggredito precedentemente Dario Ferrara, tra loro c’era acredine per un debito di cento euro non saldato per l’acquisto di droga.
I giudici della Corte d’Assise d’Appello, inoltre, ribadiscono che non vi furono responsabilità da parte dei medici che ebbero in cura per tre giorni il giovane nocerino, come aveva sostenuto la difesa. E la circostanza che il tifoso ultrà fosse stato colpito violentemente con un casco non era dedotto da ‘voci correnti’ ma da ‘precisi e inoppugnabili elementi di prova scaturenti dall’autopsia. un quadro che non si scalfisce anche se le prime informazioni si raccolgono da ambienti amicali e familiari’. A conclusione delle motivazioni, i giudici ribadiscono che l’imputato non aveva intenzione di uccidere la vittima e dunque, l’accusa di omicidio preterintenzionale e non volontario: ‘Non si persegue un intento omicida armandosi di casco. Non voleva sopprimerlo, ma solo dargli un’ulteriore lezione’ scrivono nelle motivazioni. La sentenza emessa a luglio scorso sarà impugnata dalla difesa di Ferraro che sicuramente ricorrerà in Cassazione.
Articolo pubblicato il giorno 21 Ottobre 2017 - 10:08