Ad un anno dal ritrovamento della salma del comandante Giulio Oliviero in una botola all’ interno del peschereccio la famiglia sollecita un’opposizione alla richiesta di archiviazione del fascicolo da parte del PM della Procura di Cassino.
Ancora oggi non si conoscono le responsabilità che portarono a quel tragico incidente. Il peschereccio, uscito dal porto di Formia per la battuta di pesca, si inabissò a 62metri di profondità a 7 miglia da punta Stendardo, costando la vita ai tre membri dell’equipaggio: il comandante 44enne Giulio Oliviero di Ercolano e i due marinai tunisini Khalipa e Saipheddine Sassi, padre e figlio di 59 e 25 anni.
I corpi dei marinai furono subito ritrovati, quello del comandante campano dopo circa 6 mesi in una botola della barca. Contestata da parte della famiglia Oliviero e la vedova Rosa Imperato la perizia disposta dal sostituto procuratore Marra e realizzata dall’ esperto di navigazione Giovanni Di Russo, nella quale si dice che la causa dell’affondamento sarebbe stata la rottura di un manicotto d’acciaio del motore dovuta ad alcuni interventi di manutenzione per meano del comandante.
La parte civile ha risposto con una perizia di parte dell’ingegnere navale militare Domenico Pisapia e da quello meccanico Sebastiano Molaro i quali hanno sottolineato l’impossibilità dell’affondamento di una barca di 28 tonnellate in pochi minuti per la rottura di un semplice manicotto d’acciaio.
Articolo pubblicato il giorno 16 Ottobre 2017 - 12:52