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Castellammare, patteggia ‘solo’ 5 anni di carcere il ‘re’ delle banconote false

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Ha patteggiato 5 anni di reclusione e ottiene gli arresti domiciliari ma fuori dalla Campania, Carmine Guerriero, il “Monsignore” stabiese, l’ideatore della vendita on line dei soldi falsi smistati in tutta Europa arrestato nel mese di dicembre scorso dalla Guardia di Finanza.
Anche gli altri imputati nel processo hanno patteggiato la pena:  la madre Carmela Cavallaro (un anno e mezzo pena sospesa), la sorella Filomena Guerriero e la cugina Anna Sorrentino (entrambe 2 anni e 3 mesi). Sono tutti difesi dagli avvocati Olga Coda e Carmine Iovino e infine Vincenzo Fontanella (9 mesi, difeso dall’ avvocato Roberto Attanasio). Carmela Cavallaro è passata dagli arresti domiciliari alla libertà.
Si chiude così dopo soli 9 mesi di carcere la vicenda che vide come protagonista Carmine Guerriero e i suoi più stretti familiari che secondo gli investigatori sarebbe uno degli hacker  più pericolosi d’Europa. Erano tutti accusati a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla commercializzazione di banconote falsificate nonché di ulteriori fattispecie afferenti la falsificazione di atti e documenti (patenti di guida e permessi di soggiorno), lo smercio di marche da bollo contraffatte e la detenzione di carte di credito clonate.L’indagine é stata avviata nel 2015 ed ha visto il coinvolgimento- per il tramite di Europei – di molteplici Autorità estere, consentendo di ricostruire, tra l’altro, l’intensa attività di distribuzione sul mercato nazionale ed europeo delle banconote di euro false nonché la metodologia utilizzata dall’organizzazione per perpetrare i suoi traffici illeciti.
In particolare, il sodalizio delinquenziale, sfruttando le notevoli abilità informatiche di Guerriero Carmine, effettivo promotore e organizzatore della compagine, individuava i clienti finali mediante la pubblicazione di annunci riguardanti la vendita di banconote di euro contraffatte su un sito del deepweb, che è quella parte “invisibile” di internet alla quale si può accedere solo ricorrendo a specifici e dedicati applicativi informatici.
Nel relazionarsi con la clientela, Guerriero, al fine di garantirsi l’anonimato, faceva ricorso a diversi nickname, tra cui a quello di “NapoliGroup”, una sorta di marchio di garanzia, in quanto si tratta dell’espressione utilizzata dagli organismi comunitari per etichettare l’ottima fattura della falsificazione di banconote realizzata da una rete di falsari operanti nell’hinterland di Napoli.
Dopo aver instaurato i primi contatti con i clienti, la consorteria criminale provvedeva ad inviare alcuni campioni da visionare, l’indirizzo e-mail da contattare per definire l’acquisto e un foglio con indicati i mezzi di pagamento preferiti, tra i quali anche il canale dei money transfer e il cosiddetto “bitcoin” (un’innovativa modalità di corresponsione che garantisce ulteriormente l’anonimato delle transazioni finanziarie).
Una volta ricevuto il pagamento, l’organizzazione inviava la valuta contraffatta – occultata all’interno di libri tagliati nel mezzo – prevalentemente in pacchi del peso non superiore al chilo, affidati a ignari corrieri nazionali o esteri, utilizzando falsi documenti, per non rendere immediatamente identificabili i mittenti dei plichi.
Considerato che le banconote falsificate venivano smerciate ad un prezzo pari a circa il 30% del valore facciale delle stesse e tenuto conto di quanto monetizzato dai sodali con i soli bitcoin, si calcola che la compagine delinquenziale abbia commercializzato banconote contraffatte per oltre 600.000 euro. Il 31enne “mago dell’informatica” aveva anche provato a difendersi davanti al gip sostenendo di essere stato “costretto” a commettere crimini informatici. “Dopo il clamore del mio primo arresto, ed essendo stato “bollato” dalla stampa come un “mago” dell’informatica, ho ricevuto pressioni da varie organizzazioni criminali, alle quali non potevo sottrarmi”.

PUBBLICITA

 

 


Articolo pubblicato il giorno 26 Ottobre 2017 - 07:25

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