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Roma. Sì alle aggravanti per un agente condannato per violenza sessuale su una giovane in commissariato. La terza sezione penale della Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un ispettore di polizia condannato a 4 anni (pena che era stata ridotta in appello per effetto delle attenuanti generiche): l’imputato, secondo l’accusa, aveva costretto, “abusando della sua qualifica di pubblico ufficiale”, a subire atti sessuali in commissariato una ragazza che era stata fermata perchè sorpresa con altri amici a bordo di un’autovettura nella quale era stata ritrovata una modica quantita’ di hashish. Tra i suoi motivi di ricorso in Cassazione, l’agente, oltre a sottolineare che non era “emerso alcun elemento dal quale desumere il dissenso” della giovane, lamentava vizi di motivazione sull’aggravante che gli era stata contestata, nonchè sul diniego dell’attenuante di “minore gravita’ del fatto”. La Suprema Corte, nel confermare la sentenza d’appello emessa dai giudici della Capitale, ha evidenziato i “presupposti legittimanti l’applicazione dell’aggravante” prevista dall’articolo 609 septies del codice penale, “costituiti dalla stessa posizione pubblicistica dell’agente diretta di per sè a ingenerare una condizione di timore e di soggezione nella ragazza, tanto più per avere egli – si legge nella sentenza depositata oggi – posto in essere la condotta abusante nell’esercizio delle sue funzioni di commissario e all’interno del Commissariato dove prestava la sua attività lavorativa”. Quanto alla negata attenuante della minore gravità del fatto, i giudici di piazza Cavour richiamano le sentenze di merito e la “valenza particolarmente negativa della condotta posta in essere dall’imputato, in relazione sia all’incisività dell’atto sessuale”, sia “all’abuso di autorità derivante dalla funzione ricoperta dell’imputato, circostanze – conclude la Cassazione – entrambe volte ad escludere un’attenuata compressione della libertà sessuale della vittima”.
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