“Organizzavo gli omicidi in modo che ogni componente del commando conosceva solo il proprio ruolo. Faccio un esempio: i raccoglitori (quelli preposti a riportare nei covi i killer dopo il delitto) conoscevano solo la loro posizione e vagamente il nome della persona che dovevano aiutare; anche i killer sapevano solo quale fosse la loro missione, senza interessarsi sul movente e sui nomi dei mandanti.
I killer sapevano solo che fare, dove posizionarsi prima durante e dopo l’operazione”. Sono alcune delle dichiarazioni del boss pentito di Pianura, Pasquale Pesce ‘e bianchina reggente del clan Pesce-Marfella-Foglia che da due mesi insieme ad altri tre camorristi del quartiere ha deciso di passare dalla parte dello Stato. Grazie alle sue dichiarazioni ma anche degli altri collaboratori la squadra mobile di Napoli, con il coordinamento della Dda sta ricostruendo decine i delitti e tracciando un quadro di affari e alleanze della camorra di Pianura.
“Voglio cambiare vita per me stesso e la mia famiglia”, aveva spiegato ai giudici che quasi increduli nel luglio scorso raccolsero la sua prima deposizione. Pesce ha puntato il dito contro affiliati al clan che ha diretto fino a qualche mese fa: “Riconosco la persona raffigurata nella fotografia. Si tratta di Giuseppe Foglia. È affiliato al clan Marfella-Pesce fin dal 2013 unitamente a Salvatore Marfella.
È l’esecutore materiale di omicidi ordinati da me. Nell’ambito del clan si occupa di tutto (il collaboratore di giustizia continua a riferirsi a Giuseppe Foglia, ndr), anche del settore della droga (consegne, ritiri, riscossioni di pagamento). È una persona di cui mi fidavo tanto…Riconosco la persona raffigurata in fotografia. Si tratta di Antonio Discetti. In passato ha fatto parte del clan Varriale facendo lo specchiettista.
Poi è passato con il clan Me- le. Nel 2013 all’atto della scarcerazione dei fratelli Mele, si occupava di tenere i conti delle scommesse del calcio per i Mele…”. L’ex boss ora pentito ha parlato anche dell’omcidio di Luigi Aversano detto ‘ musichiere e per il quale è stato raggiunto nei mesi scorsi da un’ordinanza di custodia cautelare insieme con i suoi complici: “Sono stato io ad ordinare l’agguato.
Bisognava dare un segnale forte ai nostri nemici. A casa mia, durante una riunione, incaricai Salvatore Marfella, Giuseppe Foglia e Diego Basso di compiere l’agguato. Mi occupai personalmente di procurare un’auto rubata, una Hyundai scura, e applicai le pellicole per oscurare i vetri. La parcheggiai in via Cannavino. Separatamente parlai invece con Lorenzo Carrillo, Salvatore Schiano e Antonio Campagna. Carrillo aveva il compito di andare a prendere Foglia e Marfella per condurli a casa di mia madre a Ischitella.
Campagna si doveva occupare del recupero di Basso per riportarlo a casa. Consegnai tre pistole, una calibro 45, una 38 ed una 9×21, a Marfella, Foglia e Basso. I tre partirono all’orario previsto, fecero il percorso stabilito, incontrarono Aversano da solo sul mezzo e lo tamponarono frontalmente facendolo cadere a terra. A quel punto Foglia e Marfella gli spararono. Così mi fu raccontato da Diego Basso”.
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