Scafati. Un patto con la camorra per ottenere voti per se stesso e per la moglie e, in cambio, elargire appalti pubblici, prebende o favori. Un patto che si è concretizzato non solo con il clan Loreto-Ridosso e ancora prima con il clan Sorrentino, ma che ha caratterizzato tutta l’ascesa dell’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti e della sua ‘prestanome’ in politica, la moglie Monica Paolino, attuale consigliere Regionale di Forza Italia. Un quadro inquietante di dieci anni di politica scafatese che – dopo una serie interminabile di atti giudiziari – approderà presto davanti ad un giudice per l’inizio del processo. In dieci rischiano, dopo l’avviso di conclusione delle indagini dei giorni scorsi, di tramutare il proprio status giuridico da indagato a imputato in un processo per scambio di voto politico-mafioso e per reati satellite, come minaccia e estorsione addebitati ad esponenti della cosca che ancora oggi, a distanza di due anni dal loro arresto, riescono ad avere un controllo delle faccende criminali che accadono in città.
L’avviso di conclusione delle indagini, emesso dal sostituto procuratore della Dda Vincenzo Montemurro e notificato martedì scorso dagli uomini della sezione di Salerno della Dia, coordinati dal colonnello Giulio Pini e dal capitano Fausto Iannaccone, rappresenta la sintesi ufficiale di due anni di indagini nei quali le vicende politico-amministrative di Scafati sono andate di pari passo con quelle giudiziarie. La tranche sulla quale non c’è bisogno più di indagare rappresenta una parte della maxi inchiesta che, tra l’altro, ha determinato lo scioglimento per infiltrazione mafiosa del consiglio comunale di Scafati e ora quella tranche arriva allo stadio che precede l’udienza preliminare.
Il patto per lo scambio di voto con la camorra sarebbe stato orchestrato dall’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti per le elezioni amministrative, sin dal 2008, periodo in cui intratteneva rapporti con l’organizzazione criminale dei Sorrentino – alias i Campagnuoli -, e successivamente nel 2013 e 2015 (elezioni Regionali) con il clan Loreto-Ridosso e Matrone. Ma Aliberti avrebbe anche chiesto l’aiuto di personaggi, in odore di camorra, come i fratelli Mauriello, (originari di Castellammare e con interessi economici a Pompei e Torre Annunziata) arrestati e poi scarcerati per traffico internazionale di stupefacenti per ordine della Dda di Napoli e con i quali, in prossimità delle elezioni del 2015 quelle Regionali, Angelo Pasqualino Aliberti, il fratello Nello e lo staffista e factotum Giovanni Cozzolino, avrebbero avuto un incontro segreto in una villa hollywoodiana alla periferia di Scafati di proprietà dei Mauriello. Patti scellerati per ottenere consensi e farsi eleggere alla carica di sindaco, ma anche per far eleggere il suo ‘alter ego’, la moglie, al consiglio Regionale. Monica Paolino, secondo quanto riscontrato dalle indagini, è un personaggio politico ‘creato’ dal marito e che Aliberti ha diretto in ogni passaggio che l’ha portata all’elezione nel 2015, per la quale Aliberti ha stretto patti politici con esponenti di Forza Italia in provincia di Salerno, ma anche con uomini del clan Ridosso-Loreto, organizzando incontri elettorali in noti bar e persino in ‘casa’ della zia di Gennaro e Luigi Ridosso. La campagna elettorale di Monica Paolino è stata ideata politicamente da Angelo Pasqualino Aliberti ed ha coinvolto i suoi uomini e le sue donne più fidate e perfino componenti del suo staff al Comune come Giovanni Cozzolino. L’ex sindaco e la moglie, dunque per l’accusa sono coloro che hanno beneficiato dei voti della camorra, camorra rappresentata – per le elezioni del 2013 e quelle del 2015 – da Gennaro e Luigi Ridosso, da Alfonso Loreto (figlio di capo storico della camorra, Pasquale), oggi diventato collaboratore di giustizia come il padre. Ma il patto con la criminalità organizzata era stato fatto due anni prima quando alle elezioni del 2013 Aliberti aveva – pur cercando di mantenere illibate le apparenze – consentito l’ingresso nella vita politica del paese di soggetti incaricati dalla camorra di ‘intrattenere rapporti’ e assumere ruoli istituzionali all’interno della pubblica amministrazione. Questi ‘soggetti’ sono Andrea Ridosso – figlio di Salvatore, ucciso in un agguato nel 2002 e all’epoca ras scafatese in piena ascesa – aspirante candidato alle amministrative del 2013 nelle liste di Aliberti; Roberto Barchiesi – ex zio di Alfonso Loreto -, diventato consigliere comunale, eletto nella lista Grande Scafati e Ciro Petrucci nominato presidente del Consiglio di amministrazione della partecipata comunale, Acse che gestisce i servizi esterni per il Comune.
A fare da collante, da trait d’union tra camorra e l’allora sindaco Aliberti, c’erano lo staffista del Comune Giovanni Cozzolino e il fratello dell’ex sindaco Nello Maurizio Aliberti. I due inseparabili che si occupavano anche del ‘lavoro’ sporco, quello degli incontri ‘pericolosi’, dei legami e delle imbasciate, delle richieste che esponenti della camorra facevano e che dovevano essere veicolate dalle scelte amministrative dell’ex primo cittadino.
Il patto, il ‘do ut des’ scoperto dall’antimafia, resta il cuore di episodi che si avviano ad essere valutati dai giudici. A corollario di questo nucleo che ha segnato e caratterizzato – secondo l’accusa – la vita politica della famiglia Aliberti, vi sono episodi contestati ad una parte dei dieci indagati e che riguardano il clima di intimidazione che – soprattutto nel 2013 – fu instaurato nei confronti dei giornalisti del quotidiano Metropolis e in particolare della corrispondente di Scafati, Valeria Cozzolino, minacciata da Nello Maurizio Aliberti e Gennaro Ridosso. Mandante di quelle minacce, secondo i giudici, fu lo stesso sindaco per le critiche mediatiche che in piena campagna elettorale gli piovevano addosso.
Tra le contestazioni dell’antimafia, anche le estorsioni – per ottenere lavori per le ditte di pulizie di riferimento di Loreto e Ridosso – ai Longobardi, imprenditori conservieri scafatesi costretti a elargire somme di danaro, apparentemente dovute, ma che in realtà erano il frutto di costrizioni fatte con metodi camorristici. Gennaro, Luigi jr Ridosso e Alfonso Loreto sono accusati di aver, infatti, sistematicamente preteso dagli imprenditori il pagamento di somme per i servizi di pulizia e trasporto imposti all’interno delle fabbriche da loro gestite dal 2007 al 2015.
L’avviso di conclusione indagine è arrivato in un momento molto delicato dell’inchiesta, dopo il pronunciamento del Tribunale del Riesame sulla richiesta di arresto in carcere per Angelo Pasqualino Aliberti, Luigi jr e Gennaro Ridosso. La decisione dei giudici del Riesame di accogliere la richiesta di arresto dell’antimafia – i primi due dovrebbero andare in carcere, Gennaro Ridosso ai domiciliari – è solo un altro capitolo di questa storia giudiziaria, nella quale l’ex sindaco – nonostante si sia dimesso dalla carica per evitare proprio la possibilità di una misura cautelare – ha continuato a proporsi, attraverso i social, come il sindaco ‘in pectore’ della città, dimostrando di conoscere cosa accadeva amministrativamente nel palazzo comunale dove è rimasto come ‘inquilino pro tempore’ per 8 anni e scagliando strali contro testimoni, avversari politici e giornalisti che osavano denunciarlo o criticarlo.
Un clima di tensione che non si è placato neppure in questi giorni, acuito – sempre sui social – dallo stesso fratello del primo cittadino, Nello Maurizio Aliberti, che ha messo come foto del suo profilo personale, l’immagine della giornalista che – secondo l’antimafia – è vittima delle sue minacce e di quelle di Gennaro Ridosso. Un chiaro tentativo di intimidazione ad un testimone che – e questo è ancora un altro capitolo – con ogni probabilità verrà valutato dall’antimafia.
Rosaria Federico
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