Cronaca Giudiziaria

Paralisi facciale dopo un intervento chirurgico, sotto inchiesta medici del Policlinico di Napoli e di una casa di cura di Piacenza

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    Si sottopone ad un intervento per asportare un tumore vicino al cervelletto. Durante l’intervento, però gli operatori le ledono il nervo facciale, con conseguenze gravissime per il sistema neurologico. E’ quanto è accaduto ad E.D. donna sessantenne di San Cipriano di Aversa, vittima di una storia evidente di malasanità, che ancora oggi vive i postumi del calvario iniziato nel 2005.

    La storia inizia nell’agosto del 2005 quando si sottopone ad una risonanza magnetica cranica, a causa di un problema all’orecchio. Dall’esame le diagnosticano un meningioma tentoriale, vale a dire un tumore cerebrale, nella zona tra il cervelletto e il lobo occipitale. Nel settembre dello stesso anno poi, la donna si reca presso l’area funzionale della Neurochirurgia dell’Azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli dove si sottopone ad un intervento di exeresi (asportazione) chirurgica della neoformazione. Durante l’intervento gli operatori si accorgono che una porzione del tumore, presente a livello del cavo di Meckel, non era dissecabile. Ragion per cui decisero di lasciarla in sede, riservandosi, a seguito di ulteriori controlli clinico-strumentali di trattare il residuo neoplastico successivamente, valutando quindi l’opzione terapeutica migliore. Alla dimissione, però, la paziente riporta una paralisi periferica del nervo facciale di destra.

    Nel giugno del 2006, poi, la donna viene nuovamente ricoverata. Questa volta però presso la Casa di cura ‘Piacenza’ di Piacenza, per sottoporsi ad un nuovo intervento di exeresi del residuo neoplastico. Le conseguenze dell’intervento sono immediate: l’ischemia del tronco cerebrale e del cervelletto, difficoltà di deambulazione e una paralisi del IV, VI e VII nervo cranico. Come se ciò non bastasse, dagli esami successivi all’intervento si evinceva ancora l’esistenza del residuo neoplastico.

    Numerosi i postumi per la paziente: “una sindrome sottotentoriale secondaria ad esiti ischemici cerebello-ponini, caratterizzata da andatura marcatamente atassica con necessità di doppio appoggio, paralisi periferica completa del VI e del VII nervo cranico di destra, nistagmo (un’oscillazione ritmica e involontaria dell’occhio), disartria (un disturbo del linguaggio), deviazione destra con protrusione della lingua, positività alla prova di Mingazzini, dismetria bilaterale alla prova indice naso (maggiormente rappresentata a destra), disfagia (disturbo della deglutizione) ed emi-ipoestesia dolorifica e pallestesica sinistra”, sottolinea il legale rappresentante della donna Luca Supino Di Lorenzo, specialista in diritto sanitario e responsabilità per colpa medica.

    La storia però non termina qui. Nella speranza di migliorare le proprie condizioni, nel dicembre 2006, si sottopone ad un nuovo intervento presso la casa di cura ‘Piacenza’, per un’anastomosi ipoglossofacciale di destra. E’ lapalissiano che i postumi delle tre operazioni chirurgiche costituite dalle gravissime menomazioni fisiche e psichiche, esistono quindi, secondo Luca Supino Di Lorenzo, “per le varie ed evidenti responsabilità dei sanitari che la ebbero in cura”.

    Secondo il Ctu nominato nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. svoltosi dinanzi all’VIII sezione del Tribunale di Napoli, prof. dott. Giuseppe Vacchiano, “La lesione del nervo facciale, nel caso in esame, va ricondotta alle non condivisibili manovre chirurgiche attuate nel corso dell’intervento eseguito nel settembre 2005”. Il secondo intervento, quello presso la casa di cura ‘Piacenza’, fu caratterizzato, “da esiti di non trascurabile entità riconducibili ad una sindrome ischemica cerebellare e pontina ed al sacrificio del 4° e del 6° nervo cranico”.

    Nell’intera nefasta dinamica “fu corretta – spiega l’avvocato Supino Di Lorenzo – riguardo il primo intervento presso l’A.O.U. Federico II di Napoli la decisione dei chirurghi di lasciare in situ un residuo neoplastico a causa della sua forte aderenza alle strutture circostanti, ma fu assolutamente censurabile il comportamento degli stessi operatori nel non aver utilizzato, durante l’atto operatorio, i potenziali evocati, determinando la lesione del VII nervo cranico, ovvero il faciale, con la sua conseguente paralisi periferica che è pertanto da considerarsi di natura esclusivamente iatrogena. L’utilizzo, infatti, del monitoraggio neurofisiologico poteva infatti ridurre al minimo la possibilità di deficit di qualsivoglia natura e non è comprensibile, pertanto, la decisione dei chirurghi di non avvalersi di tale utilissima metodica”.


    Articolo pubblicato il giorno 21 Settembre 2017 - 10:03
    Redazione

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