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Napoli, la Nato inaugura l’Hub strategico per il Sud: ecco come funziona

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Formalmente l’idea e’ nata a Varsavia nel 2016, ed e’ stata ‘tenuta a battesimo’ lo scorso febbraio in una riunione ministeriale dell’Alleanza, nella quale il segretario generale Nato Jens Stoltenberg annunciava la creazione di un organismo di condivisione delle informazioni. Il ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti, propose a stretto giro di insediarlo nel Comando Jfc Naples, trasferitosi in questi anni per ragioni logistiche dal quartiere occidentale di Napoli a Lago Patria, confinante localita’ nel Comune di Giugliano. Terrorismo, migranti, sicurezza ma anche potenzialita’ di sviluppo sono le direttrici lungo le quali si muovera’ la ricerca e lo scambio di informazione tra i 29 paesi Nato, ma anche la loro valutazione, per formare un quadro piu’ chiaro di una vasta area che comprende Medio Oriente, Nord Africa, Sahel, Africa subsahariana e zone confinanti, con un focus iniziale su Libia, Siria, Iraq, Tunisia e Giordania. OPERATIVO PER FINE DICEMBRE “Saremo pienamente operativi per fine dicembre. Nel 2018 potremmo avere i primi risultati e fornire le prime raccomandazioni alle parti interessate”, e’ il cronoprogramma tracciato dalla ammiraglio Michelle Howard dell’operativita’ dell’Hub. “Oggi siamo al primo step – spiega il comandante delle forze Alleate nell’Europa meridionale – e siamo focalizzate nei prossimi mesi a mettere insieme tutti i nostri partner”. L’Hub, aggiunge, “nasce come idea gia’ due anni fa, ma ha avuto un’accelerazione nella sua costruzione legata alla migrazione di massa e poi alla dichiarazione il Ministero della Difesa americano di un impegno maggiore della Nato sul fronte del terrorismo. In poco tempo abbiamo messo in piedi questa piattaforma”. “Non si tratta solo di raccolta e condivisione ma anche di comprensione e di raccordo con attivita’ che gia’ stiamo svolgendo per avere un’idea piu’ completa della situazione”, dice il vicepresidente dell’Alleanza Atlantica Alejandro Alvargonzalez. UN’ORGANIZZAZIONE DI 90 UNITA’, CI SONO ANCHE LE ONG Tra gli specialisti militari e civili che saranno impegnati nell’Hub in maniera volontaria non solo rappresentanti di tutte le 29 nazioni della Nato ma anche i rappresentanti delle ong e delle associazioni ed enti che lavorano nell’area di interesse. L’organico completo e’ di 90 unita’, e attualmente sono gia’ attivi in 35. “E’ una piattaforma di informazioni condivise con esperti di aspetti militari, economici e sociali. Non si tratta di mettere insieme servizi di intelligence ma esperti, a meno che non si decida di usare analisti”, esplicita ancora l’ammiraglio Howard. Il modello cui lei ha pensato e’ quello di una task force di emergenza americana che era si’ capeggiata dagli Usa ma che usava competenze che venivano da diversi paesi ed era concentrata su Sud America e Caraibi: “con una condivisione delle informazioni si riusciva ad avere un’idea completa della situazione, a fornire dettagli maggiori”. Durante la prima visita della stampa all’Hub, e’ il tenente colonnello Massimo Zaccheroni che sottolinea come “la condivisione e lo scambio di informazioni sara’ possibile anche con le ong: potranno venire qui e lavorare con noi. Abbiamo gia’ stabilito un link, servendoci anche di quello gia’ esistente nell’ambito del Joint command Naples che gia’ opera a questi livelli. ANCHE UNA CELLULA DI ENTI NON INTERNI ALL’ALLEANZA E ci sara’ anche una cellula in cui verranno ospitati gli enti di paesi non all’interno dell’Alleanza”. “Mettiamo insieme informazioni da varie fonti – aggiunge il comandante Alex Bush – la struttura non e’ statica, anzi e’ un’organizzazione molto fluida. I report che produciamo cercano di comprendere e interpretare quello che conosciamo di quell’area. Metteremo sul nostro sito internet le informazioni non classificate e quelle classificate, cioe’ segrete, le condivideremo su una rete interna. Mettere insieme le informazioni, fonderle, significa produrre nuova conoscenza e quindi capire meglio la situazione e contribuire alla stabilita’ e alla pace nella regione meridionale”. Per esempio, “lavoriamo molto con organizzazioni come il World Food Programme e prendiamo informazioni dai loro report e dai loro rappresentanti in modo da avere una profonda comprensione sulla carenza di cibo. Tutto il Medio Oriente e il Nordafrica ci interessano, non si puo’ distinguere tra paese perche’ i problemi creano instabilita’ magari partendo da un paese, ma finiscono per coinvolgere tutti gli altri, come abbiamo visto di recente nelle crisi dei migranti”. 


Articolo pubblicato il giorno 5 Settembre 2017 - 18:28

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