La consapevolezza degli errori compiuti, l’impegno per crescere e maturare, la volonta’ di non perdere la speranza di una vita ‘normale’ e al fianco delle proprie famiglie sono i sentimenti dei detenuti della Casa di reclusione di Rebibbia raccontati nel docufilm ‘Rebibbia, liberi di ricominciare’. Il docufilm, per la regia di Amedeo Staiano e Guglielmo Mantineo, e’ tra i finalisti, nella sezione documentari, della rassegna del Napoli Teatro Festival che si concludera’ il prossimo 1 ottobre. Il prodotto cinematografico, realizzato in soli quattro giorni, ha come protagonisti i detenuti che partecipano al laboratorio di Arte terapia e porta sullo schermo alcuni estratti dello spettacolo teatrale, scritto e realizzato dai detenuti che portano in scena le loro storie autobiografiche, in cui si innestano singole ‘interviste’ in cui i detenuti-attori raccontano l’importanza dell’esperienza teatrale e i benefici che ne traggono in termini di consapevolezza, analisi su se’ stessi, desiderio di un futuro diverso fuori dal carcere ma anche il valore del lavoro di squadra per la realizzazione di un obiettivo comune quale la costruzione dello spettacolo. “Il docufilm – ha spiegato il direttore di Rebibbia, Stefano Ricca – porta sullo schermo quello che per noi e’ il quotidiano e mostra il senso di speranza e la volonta’ di ricominciare dei nostri detenuti che, sebbene privati della possibilita’ di muoversi liberamente, hanno la piena liberta’ di esprimersi”. Lo spettacolo teatrale, sostenuto dalla Diocesi di Roma, e’ il frutto del lavoro realizzato dalle psicologhe dell’Istituto, Sandra Vitolo e Irene Cantarella. “Il nostro obiettivo – ha detto Irene – e’ trasformare il tempo del carcere in tempo di crescita e rinascita dell’individuo, in tempo utile senza tralasciare l’importanza del coinvolgimento delle famiglie”. E infatti particolarita’ dello spettacolo teatrale realizzato nel 2017 dal laboratorio di Arte terapia e’ la presenza attiva dei figli dei detenuti che recitano al fianco dei loro padri. “Non bisogna mai dimenticare – ha concluso Vitolo – che i bambini non hanno colpe e che la lontananza toglie ai padri la responsabilita’ di crescerli”.
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