Comincia oggi in Corte di Assise d’Appello a Napoli il processo a carico dei presunti killer del boss Gennaro Sacco e del figlio Carmine: massacrati a San Pietro a Patierno il 27 novembre del 2009. Stando alle indagini della Dda di Napoli, il boss scissionista del clan Licciardi aveva creato a di San Pietro a Patierno un gruppo insieme coni fratelli Bocchetti. Padre e figlio furono ucciso dagli uomini della stesso clan perché ritenuto “inaffidabile” in quanto confidente della polizia, oltre che al fatto che il figlio Carmine avrebbe trattenuto per se i proventi dello spaccio di droga.
Alla sbarra ci sono Ciro Bocchetti, Stefano Foria, Paolo Murolo, Ciro Casanova e Salvatore Murolo arrestati nel 2014 insieme con altri affiliati (non coinvolti nel duplice omicidio) tra cui i pentiti Antonio Zaccaro e Domenico Monteriso. Secondo le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo e coordinate dai pm Enrica Parascandolo e Giuseppina Loreto della Dda di Napoli
l’alleanza tra il clan Sacco ed i Bocchetti, nata nel 1997, aveva rischiato di crollare per via delle scelte di Gennaro Sacco, che si sarebbe legato al clan Lo Russo di Miano, agli Scissionisti di Scampia ed ai Moccia di Afragola. Decisioni prese senza consultarsi con i Bocchetti.Altri malumori sarebbero nati per la gestione dei ricavati dei traffici illeciti: Carmine Sacco sarebbe stato accusato dagli altri componenti del clan di aver trattenuto parte delle somme destinate ai detenuti.Ennesimo punto di rottura, la paura dei Bocchetti che i Sacco potessero accrescere troppo il proprio profilo criminale: se già l’alleanza con i Lo Russo, con gli Scissionisti e con i Moccia avevano rinsaldato il potere del clan, i rapporti con Marco Mariano e con Luigi Cimmino avrebbero reso Gennaro Sacco un elemento troppo forte.
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